Qui sul Bosforo l’aria si sta scaldando, e non è solo per l’arrivo dell’estate. Domenica 12 giugno si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento e il premier Erdo?an punta tutto non solo sul rinnovo del suo mandato (il terzo e ultimo), ma sogna anche di poter mettere mano alla Carta costituzionale, nell’ottica di un presidenzialismo alla francese che gli aprirebbe le porte di un altro decennio di governo come capo dello Stato. L’Akp, il partito “Giustizia e Sviluppo” fondato da Erdo?an nel 2002 che si ispira a valori islamico moderati (in un Paese che ha bandito costituzionalmente l’uso del velo e depurato radicalmente le istituzioni da qualsiasi afflato religioso), anche questa volta risulterà il partito più amato dai turchi, ma potrebbe non farcela a ottenere la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale (ossia 367 seggi su un totale di 550), necessaria per riscrivere la Costituzione senza dover passare per il vaglio del referendum popolare. Che è poi quello a cui mira Erdo?an, sapendo che potrebbe restare fortemente deluso. Tutto si gioca sul filo di lana. Se la corsa sarà a due, ossia con l’Akp come primo partito e i repubblicani (laici e riformisti) del Chp come secondo partito all’opposizione, allora è probabile che il premier festeggerà la conquista di 2/3 dei seggi disponibili e potrà ragionevolmente governare fino al 2023, come presidente si intende. Ma se la corsa sarà a tre, allora Erdo?an si dovrà preparare al referendum. In Turchia lo sbarramento per l’ingresso al Parlamento è del 10%, una soglia molto alta, che solo il partito nazionalista (Mhp) potrebbe superare. I sondaggi al momento danno i nazionalisti all’11%, non tanto, ma quanto basta a infrangere i sogni del premier. Sullo sfondo, inoltre, il voto curdo, che potrebbe provocare un’emorragia di consensi per l’Akp nelle zone del Sud Est del Paese. Insomma, il risultato è certo, ma Erdo?an dovrà aspettare la sera del 12 giugno per stappare una bottiglia di champagne.
Anna Mazzone
