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Riflessioni sull’attuale crisi economica -1-

1 – Da quando è stato avvertito il fenomeno della cosiddetta globalizzazione è anche venuto all’attenzione degli osservatori un intenso e crescente processo di redistribuzione del reddito a livello mondiale, dai paesi ricchi a quelli più poveri. Lo sviluppo dei trasporti, la diffusione delle conoscenze attraverso le nuove tecnologie, la fruizione per tutti di informazioni e del sapere hanno ingenerato un formidabile spostamento della produzione e quindi del reddito dai paesi di più antica industrializzazione a quelli meno sviluppati, in ragione dei minori costi del lavoro e delle minori tutele che questi ultimi presentano. Comunque la globalizzazione ha avuto il merito di sottrarre miliardi di persone alla povertà.

2 – Per i paesi di consolidato benessere le prospettive di crescita con incrementi analoghi a quelli dei passati decenni sono del tutto illusorie e non più ripetibili. I grandi produttori di merci sono ormai la Cina, l’India, il Brasile e altri emergenti. La politica economica del vecchio mondo industrializzato non può che orientarsi a difendere i livelli di benessere raggiunti e a perseguire moderati tassi di crescita, puntando sull’innovazione dei prodotti e dei processi nella competizione globale. I paesi europei peraltro sono gravati da notevoli costi della protezione sociale che agisce da ulteriore freno alla crescita.

3 – L’Italia tra i paesi europei è quella che si è difesa peggio da questi cambiamenti e dall’aggressività dei paesi emergenti. La produttività non aumenta da tempo, i costi del lavoro per unità di prodotto sono cresciuti in modo abnorme(rispetto alla Germania negli ultimi 12 anni il nostro costo del lavoro è aumentato del 35% e del 25% rispetto alla media europea). Il nostro vero problema non è tanto il debito pubblico,(di cui si parlerà più avanti) bensì il declino economico strisciante che si verifica da un quindicennio: crescita di poco superiore a zero, produttività stagnante, costi in forte crescita, competitività in caduta.

4 – La sfiducia che da alcuni mesi ha colpito il nostro paese ha dunque due componenti: una finanziaria(elevato debito pubblico) e una più squisitamente economica(bassa crescita, squilibrio della bilancia dei pagamenti,etc). Certo i mercati hanno sempre considerato gli squilibri di finanza pubblica la febbre e la cattiva condizione economica la malattia. In effetti un’economia in salute con debiti eccessivi rassicura di più i creditori che non un economia fragile con pochi debiti. Ciò premesso, ci si domanda in che modo il nostro paese possa riconquistare la fiducia dei mercati, dopo le misure molto severe assunte dal Governo sulla finanza pubblica.

5 – Le misure fiscali e soprattutto quelle strutturali per le pensioni hanno impressionato gli osservatori degli altri paesi a motivo della loro severità. Agli esperti non sfugge che gran parte del nostro disavanzo e quindi dello stock del debito si deve allo squilibrio dei conti della previdenza. I provvedimenti sono complessivamente in grado di riportare i nostri conti in pareggio, a condizione che il costo del servizio del debito non aumenti o, detto in altre parole, che lo “ spread”si riporti ai livelli di un anno fa e comunque al di sotto di 200 punti base. Se il Governo riuscirà a realizzare il suo programma di riforme, il costo del servizio del debito dovrebbe scendere, rendendo concreto l’obiettivo del pareggio di bilancio nel prossimo anno. Più volte è stato detto che se non si forma nuovo deficit, l’indicatore debito/PIL è destinato a scendere e potrà conseguire, senza ulteriori sacrifici e persino con crescita zero l’obiettivo di un calo di 3 punti l’anno fino a raggiungere il 60% richiesto dall’Europa(attualmente il rapporto debito/PIL è di circa 120%).

6 – Le misure fiscali, ancorché severe non sono state sufficienti a determinare un abbassamento rilevante dello “spread”fino a riportarlo ai valori dei primi mesi dell’anno scorso. La ragione, come è stato già accennato, la troviamo nei numeri che riguardano l’economia reale, vale a dire le prospettive di competitività e crescita, mentre l’obiettivo del pareggio di bilancio richiede i suoi tempi prima che venga raggiunto. Tutti i dati e le graduatorie dei maggiori paesi, riguardanti le previsioni di sviluppo vedono il nostro annaspare sempre nelle posizioni di coda. I mercati e le stesse agenzie di “rating”guardano, ripeto, non tanto il livello del debito, bensì la capacità del paese di poterlo ripagare con l’aumento prevedibile delle risorse. Arriviamo dunque al vero problema che alimenta il rischio Italia e la diffidenza dei mercati: l’immobilismo e la stagnazione. Ad essi occorre far fronte con rapidità ed estrema determinazione.

Nicola Scalzini

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