Alcuni dati. Secondo l’Istat, dal 2008 al 2012 al Sud sono andati in fumo 301.270 posti di lavoro, il 59,5% delle perdite occupazionali totali nel Paese, in un’area che concentra il 27% degli occupati nazionali. E’ quanto emerge dalle elaborazioni dello Svimez sulla base dei dati Istat illustrate a Napoli dal presidente Adriano Giannola nel corso del convegno ”Il rilancio dell’economia meridionale”.
La meta’ circa dei posti e’ andata persa nell’industria: dal 2007 al 2012 si sono persi oltre 141mila occupati industriali (sopratutto industrie edili), passando dai 951mila occupati del 2007 a 809mila del 2012, con una riduzione del 15%. Il doppio del Centro-Nord, che in valori assoluti ha perso 315mila occupati industriali, -7,7% in cinque anni. A farne le spese soprattutto giovani e donne.
È ancora una volta, il Sud a pagare il prezzo più pesante della crisi in termini di occupazione e di rischio desertificazione industriale.
Un recente studio della Banca d’Italia ha evidenziato che il contesto italiano rappresenta un caso interessante per lo studio del rapporto tra Capitale Sociale e disuguaglianza. Il nostro Paese presenta, nella comparazione internazionale, un elevato livello di disuguaglianza, soprattutto territoriale. Dagli anni 90′ alcuni studiosi, tra cui l’americano Putnam, hanno sottolineato come le ragioni della diseguaglianze territoriali e dell’arretratezza del Mezzogiorno fosse da attribuire alla minore densità di capitale sociale, cioè scarsa fiducia reciproca (come sostenuto da Fukuyama) e alcuni fattori culturali quali l’attitudine a cooperare con gli altri e le virtù civiche. Inoltre, staccato l’ossigeno della Cassa del Mezzogiorno, privatizzate le aziende pubbliche è rimasto ben poco. Negli anni 90′ si raggiunse la convinzione che le regioni meridionali potessero camminare con le proprie gambe, spinti da una spontanea intraprendenza endogena, senza avere un modello e una visione sistemica di sviluppo.
Mentre i temi della diseguaglianza territoriale sono fuori dalle priorità del governo, sono in aumento i giovani che emigrano dal Sud. Dal 2000 al 2010 sono emigrate 1.350.000 milioni di persone (giovani e laureati soprattutto). Ma il problema per i giovani non è solo l’assenza di lavoro. Come ha dimostrato la ricerca di Francesco Maria Pezzulli nel 2009, i giovani laureati lasciano la propria terra, spesso per contrasti (silenziosi) con una cultura dominante ferma al clientelismo, all’amorfismo familiare e per contrasti con la politica locale di bassa qualità (come del resto dimostrato da molte ricerche empiriche).
Ma quante volte abbiamo sentito parlare del Sud Italia come miniera di paesaggi da valorizzare, come l’Arabia Saudita dell’energia verde, territorio dalle grandi potenzialità? Al Sud non mancano nè il potenziale né le risorse, manca sopratutto una visione comune di sviluppo, è assente la cooperazione, non vi è sinergia tra i territori e si è prigionieri spesso di una bassa qualità della politica (non ovunque fortunatamente) e della criminalità organizzata (in verità oggi fenomeno nazionale) e lo Stato non ha investito nei settori chiave dello sviluppo.
Oggi non vi sono le condizioni culturali, politiche e sociali per uno sviluppo endogeno efficace. Urge un piano ventennale di investimenti in cultura, formazione, ricerca e università. In molti comuni del Sud mancano i teatri, le associazioni, gli spazi per fare cultura, sport, i luoghi di aggregazione e di intrattenimento, le biblioteche. Accanto agli investimenti nel settore culturale, occorre un piano di primo intervento che sappia fronteggiare l’emergenza sociale sotto gli occhi di tutti ma anche avviare una strategia di medio e lungo termine centrata su alcuni fattori basilari per attivare lo sviluppo, in primis una fiscalità di vantaggio (aree tax free) e un intervento sull’Irap affinché si possa investire in settori chiave come l’agricoltura, il turismo, l’energia pulita, il recupero dei beni culturali e la tutela del paesaggio.
Mentre faccio queste riflessioni qualcuno nella maggioranza di governo pensa a depenalizzare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Ci arrendiamo? No, diceva il meridionalista Salvemi, non mollare.
