La competitività di una nazione come la nostra non può crescere che puntando sulla qualità. Ciò significa anzitutto un mondo del lavoro qualificato sul piano del sapere e della preparazione a tutti i livelli (da quello tecnico all’istruzione superiore alla specializzazione).
Ma per far questo bisognerebbe seguire strade molto diverse da quelle percorse dai governi che si sono succeduti. Nei giorni scorsi è stato reso noto il Rapporto OCSE 2013 sullo stato dell’istruzione nei paesi più sviluppati. Non se ne è parlato molto, ma contiene dati sconfortanti per il nostro Paese. L’Italia è la nazione europea che spende meno in istruzione (il 61% rispetto alla media OCSE, il 69% rispetto all’Europa dei 21) ed è quello che ha tagliato di più in questo settore, subito dopo l’Ungheria. Inoltre, con il 21% di laureati sulla popolazione tra i 25 e i 34 anni l’Italia è al decimo posto della media OCSE (39%); in Europa solo la Turchia sta peggio.
Eppure la laurea consente, come è dimostrato, maggiori possibilità di carriera lavorativa (a proposito della lotta alla disoccupazione giovanile).
Sempre più giovani e famiglie non possono però permettersela, sia per il calo dei redditi familiari, sia per l’incremento delle tasse universitarie e la riduzione delle borse di studio.
Avremo mai una classe dirigente, politica e non solo, che affronterà questi problemi?
