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Ha vinto Atene anche nella Chiesa?

-RICCARDO CAMPA-

Per due millenni almeno, in Occidente, si sono scontrate due visioni del mondo, due concezioni della vita, due paradigmi morali. Nei più svariati ambiti culturali e sociali, abbiamo visto opporsi Atene e Gerusalemme, l’Accademia e la Chiesa, la Ragione e la Fede, il Logos e il Mythos. Non sono mancati tentativi di sintesi, ma la persistenza del conflitto prova che hanno avuto scarso successo. Da un lato c’è chi sostiene che la Verità ultima, la risposta alle grandi domande filosofiche dell’uomo (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?), semmai è conoscibile, può essere conosciuta solo con la ragione e coi sensi. Ma la ragione e i sensi sono fallaci, per cui diventa essenziale mettere continuamente a confronto diverse visioni parziali, diverse narrazioni, in un dialogo aperto. Dall’altro lato c’è invece chi sostiene che la Verità ultima non solo è conoscibile con certezza, ma è già conosciuta con certezza, attraverso la rivelazione. Dunque, non è necessario il confronto, non sono necessarie le argomentazioni, basta la fede. Se si crede vera la rivelazione, o, più precisamente, l’interpretazione delle Sacre Scritture che offre la propria Chiesa, ogni problema è risolto.

Come si può vedere, sono di fronte due prospettive difficilmente conciliabili, il cui incontro-scontro in Europa è stato caratterizzato da un’immane quantità di violenza e sofferenza, fisica e morale. Quello che fa la differenza tra le due prospettive è appunto il dialogo – non a caso onnipresente nell’opera di Platone e virtualmente assente nelle Sacre Scritture. La Modernità ha segnato la vittoria di Atene. Oggi, per lo più, l’essere e il dover essere vengono stabiliti nei luoghi in cui si dialoga, ci si confronta, si parla, come i Parlamenti o i Congressi scientifici.

Il 13 marzo scorso, è però comparso un segno anomalo, che non si lascia facilmente incasellare nei due paradigmi. La Repubblica ha infatti pubblicato un testo di Papa Francesco intitolato “Basta fondamentalismi e pensiero unico, la verità non esiste senza il dialogo”, estratto dal suo ultimo libro: “La bellezza educherà il mondo”. Bergoglio dice che «il fondamentalismo si organizza a partire dalla rigidità di un pensiero unico, all’interno del quale la persona si protegge dalle istanze destabilizzanti (e dalle crisi) in cambio di un certo quietismo esistenziale. Il fondamentalismo non ammette sfumature o ripensamenti, semplicemente perché ha paura e – in concreto – ha paura della verità. Chi si rifugia nel fondamentalismo è una persona che ha paura di mettersi in cammino per cercare la verità. Già “possiede” la verità, già l’ha acquisita e strumentalizzata come mezzo di difesa; perciò vive ogni discussione come un’aggressione personale».

Il Pontefice aggiunge che «dialogo non significa relativismo, ma “logos” che si condivide, ragione che si offre nell’amore, per costruire insieme una realtà ogni volta più liberatrice. In questo circolo virtuoso, il dialogo svela la verità e la verità si nutre di dialogo». Dice anche che «il cammino della ricerca impegna la totalità della persona e dell’esistenza. È un cammino che fondamentalmente implica umiltà» e che, al contrario, «il “possesso” della verità di tipo fondamentalista manca di umiltà: pretende di imporsi sugli altri con un gesto che, in sé e per sé, risulta autodifensivo». Infine, Francesco chiude con quello che sembra un mea culpa collettivo: «Non si costruisce niente mettendo a tacere o negando la verità. La nostra dolorosa storia politica ha preteso molte volte di imbavagliarla. Molto spesso l’uso di eufemismi verbali ci ha anestetizzati o addormentati di fronte a lei». Dunque, il Papa si schiera in modo inequivocabile contro i fondamentalisti, i quali «prendono per valide le formule in sé e per sé, svuotate di bontà e bellezza, e cercano di imporsi agli altri con aggressività e violenza, facendo il male e cospirando contro la vita stessa».

Non ho mai lesinato critiche alle religioni rivelate, proprio per la loro pretesa di “possedere” la verità ultima. Giustamente, il deista Thomas Paine si chiedeva come fosse possibile che Dio – l’Essere onnipotente, onnisciente ed eterno – si fosse rivelato in modo talmente opaco da indurre i suoi seguaci a scannarsi a vicenda per i millenni a seguire, al fine di imporre un’interpretazione delle Scritture. Non poteva essere più chiaro in origine? Perciò, le parole di Papa Francesco mi hanno sorpreso positivamente. A scanso di equivoci, non voglio adesso unirmi al coro degli orfani di Dio, da un anno in qua felici e festanti, forse perché desiderosi di tornare all’ovile. La mia visione del mondo resta per molti aspetti distante da quella giudeo-cristiana, per come io la capisco. Però, in tutta onestà, non possiamo chiudere gli occhi davanti a queste affermazioni. Qui Bergoglio ci parla di metodo, non di dogmi che cadono dal cielo. Ci parla di una forma che, nel contempo, è anche sostanza.

Qualcuno noterà che molti sapienti della Paganitas hanno pronunciato parole simili due millenni orsono. Ma il fatto che ora le pronunci l’uomo che guida la Cristianità cattolica non è di poco conto. Quelle di Papa Francesco sono parole sagge, che meritano di essere ascoltate anche da non credenti e diversamente credenti, perché i fondamentalisti non si annidano solo nelle chiese cristiane o nelle religioni abramitiche (Islam in primis). Ci sono fondamentalisti anche nella comunità scientifica, convinti che la scienza ci abbia già svelato la verità ultima su tutte le cose e che le altre forme di conoscenza siano puro nonsenso. Ci sono fondamentalisti nel mondo della politica, convinti che il proprio partito sia antropologicamente “diverso” da tutti gli altri e, dunque, incorruttibile e sempre dalla parte del bene. Ci sono infine i fondamentalisti della vita quotidiana, convinti di avere sempre ragione e fanaticamente pronti a fare a botte anche per una partita di calcio. Nondimeno, Bergoglio dice qualcosa di “rivoluzionario” soprattutto rispetto a quella che è stata finora la storia della Chiesa.

L’operazione che Papa Francesco compie in questo scritto è chiamare “fondamentalismo” quella che è stata per due millenni la prospettiva egemone della Cristianità (non solo dei cattolici, ma anche dei protestanti). Mi chiedo se questo passo dipenda da una tensione teologica in seno alle alte gerarchie del Vaticano, che esiste da tempo ma che noi vediamo emergere solo oggi. Forse è maturata la consapevolezza che l’interpretazione teologica finora proposta è insidiata da evidenze che non possono più essere ignorate. Ci si chiede se lo stesso gesto storico delle dimissioni di Benedetto XVI possa essere ricondotto ad una crisi di fede – più che agli scontri di palazzo per questioni di sesso, soldi e potere di cui ci ha parlato la stampa. Sia ben inteso: non una crisi personale di Benedetto XVI, ma della religione cristiana nel suo complesso, messa all’angolo dagli sviluppi della Modernità. La domanda sorge allora spontanea: la Chiesa cattolica ci sta forse preparando ad una “nuova rivelazione” che ha bisogno di menti aperte per essere accolta? Per avere menti aperte serve, in effetti, lo spirito di Atene. Ha dunque vinto Atene anche nella Chiesa? Lascio il punto di domanda, perché non ho una risposta certa. Sospetto che non sarà facile portare a compimento l’impresa di riformare la Chiesa cattolica, ma – per quanto possano contare – non posso che fare al Pontefice i miei migliori auguri.

Riccardo Campa

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