– di FRANCESCA VIAN –
Una nuova rubrica arricchisce il Blog della Fondazione Nenni. Grazie alla studiosa Francesca Vian ogni settimana sarà analizzata una “parola d’autore” di Pietro Nenni. Nel campo della politica, è nota la creatività oratoria del socialista Pietro Nenni, a cui sono riconosciute ardite e colorite doti di innovatore in campo lessicale e nel campo della comunicazione politica: a lui, ad esempio, sono ricondotte invenzioni linguistiche come, tra le altre, “stanza dei bottoni”, “vento del Nord”, “tintinnar di sciabole”, “politica delle cose”, ma non solo; sono tantissime le parole d’autore di Pietro Nenni. Un lavoro straordinario quello della dottoressa Vian che ci riserverà molte sorprese. Cominciamo con la parola “partigiano“.
PARTIGIANO
Dal 1943, Nenni cerca poi di imporre la parola. Non è facile stabilire quale nome assumere nella guerra contro i nazisti; i combattenti vengono chiamati in tanti modi, primo fra tutti “patrioti”, ma questa guerra “non è affatto nazionalista o imperialista”, scrive Nenni in “Una sola parola d’ordine”, nell’Avanti! clandestino del 15 dicembre 1943. Nello stesso articolo insiste con la voce “partigiano”: “Né è un caso che il popolo italiano si ponga spontaneamente in linea con le esigenze della guerra partigiana e assuma da solo, nell’assenza di ogni autorità costituita, l’iniziativa e la responsabilità della condotta di questa.”
“Esso si schiera idealmente al fianco dei partigiani dei territori occupati.”
“… il Partito mobilita i compagni di tutta Italia e addita a essi una precisa direttiva da seguire: impiegare ogni energia, ogni uomo, ogni momento per la lotta partigiana”.
Nel 1943 Nenni è direttore dell’Avanti! clandestino e segretario del partito. Vive a Roma, povero in canna, con i pantaloni di Oreste Lizzadri e la giacca di Giuseppe Romita, abiti che “non gli stanno proprio un pennello” (Oreste Lizzadri), e “sa di essere ricercato dai tedeschi” (fonte Giuseppe Tamburrano, Pietro Nenni). E’ un “Nenni febbrilmente impegnato nella lotta: mai si avverte la tentazione di un ripiegamento su sé stesso, di una pausa, mai l’ombra di un rimpianto. Eppure sua figlia, quella a lui per temperamento più affine, è internata in un campo di sterminio nazista, e non ne tornerà” (Gaetano Arfé). E’ una lotta anche di parole… “partigiano” compreso.
“Partigiano” per “uomo di parte” era un tempo una parola italiana. Nel XVI secolo invase l’Europa. Anche Tolstoj farà sua questa parola in “Guerra e pace”. Durante la seconda guerra mondiale la voce partizan acquisisce rilevanza internazionale dopo un appello radiofonico di Stalin alla nazione nel luglio del 1941, nell’accezione di cui sopra. Si tratta, insomma, di uno “slavismo di ritorno” (Vincenzo Orioles, I russismi nella lingua italiana, 2006): dall’Italia alla Russia, e poi dalla Russia all’Italia come sovietismo.
Il “naturale lirismo delle prosa nenniana” (Fausta Filbier) si alimenta di parole stranianti: latinismi, francesismi, anglicismi, locuzioni tedesche, parole nuove realizzate con suffissi e prefissi, coniazioni fantasiose destinate ad avere fortuna, metafore, parole inedite che Nenni conia o traduce, che estende nel significato, che abbraccia con la sua forza di giornalista, di politico, di militante, di esule, di perseguitato, di uomo appassionato. Parole che ci trasmettono la commozione, la passione. Parole che pescano da tutti i campi: la religione, la medicina, la tecnica, la scienza, i proverbi, i modi di dire, le allusioni letterarie. Parole che chiariscono la direzione storica da imprimere agli eventi.
Appuntamento alla prossima parola di Nenni con… Resistenza.
francescavian@gmail.com
Manifesto di Augusto Colombo (1945)

