-di SANDRO ROAZZI-
“Il 2016 è un puzzle di informazione di difficile composizione” sostiene da Cernobbio la Confcommercio presentando uno studio assai articolato sull’economia italiana. Ma il diavolo non è poi così brutto come qualcuno lo dipinge: nel 2016 e nel 2017 la crescita, leggi Pil, sarà dell’1,6%. A presidiare questo dato, consumi in aumento (1,4% nel 2016) anche per via della stabilità dei prezzi e dell’aumento occupazionale e investimenti fissi lordi fuori dal digiuno degli ultimi anni (+3,3% rispetto allo 0,8 del 2015). La deflazione? “Rischio più teorico che reale”anche se l’inflazione quest’anno segnerà un modestissimo 0,2%. Una voce fuori dal coro di quelle preoccupate per una stagnazione sempre in agguato e resta e un pericolo serio da superare. Tutto sommato però sono segnali non sgraditi per il governo Renzi che può contare ancora su un atteggiamento delle grandi associazioni imprenditoriali (Confindustria e Confcommercio in particolare paiono sempre più su posizioni simili) non ostile anche se assai libero nelle valutazioni di un andamento economico lento e diseguale.
Certo le cose cambierebbero se l’Italia facesse diventare le performances migliori, che pure ci sono, la regola. Perchè l’Italia appare “incapace di cogliere le opportunità del contesto favorevole e sconta una straordinaria lentezza nel beneficiare delle riforme faticosamente approvate”. Insomma se si prendesse esempio dalla Val d’Aosta in termini di burocrazia, dal Tentino Alto Adige per l’illegalità, dal Piemonte in termini di accessibilità ad Istituzioni e credito tanto per citare qualche nodo aperto , dalla Lombardia in termini di uso del capitale umano, si avrebbe uno sbalorditivo balzo del Pil del 16,1% pari a 230 miliardi di euro. Sarebbe un’Italia senza atavici freni. Un sogno. Ma si possono anche tenere i piedi per terra ed allora Confcommercio indica come obiettivo un aggiustamento del 5% di quegli stessi parametri che farebbe salire il Pil al 3,2% con benefici pari a oltre 45 miliardi di euro.
Certo l’Italia resta il sistema economico più fragile dell’eurozona, le enfasi sono fuori luogo. E che ci si muova in modo contraddittorio lo dimostra un altro dato che giunge dall’Europa: il crollo del costo del lavoro nell’ultimo trimestre del 2015, -0,8%, il più basso della Ue. Calano la componente non salariale e quella salariale. Come dire: una boccata d’ossigeno per un organismo che resto però assai magro. Una partita , quella della crescita, che resta aperta.
