– DI FRANCESCA VIAN –
MACCHIAIUOLO
Il macchiaiuolo è dunque il partigiano che viveva nascosto: i nomi erano vari, e prevaleva forse patriota fra i combattenti, anche se Nenni utilizza in ogni caso d’abitudine la parola partigiano, anche nella forma della macchia, e poi lo consegna alla storia, come abbiamo già visto nella prima puntata. I partigiani alpini di Giustizia e Libertà “chiamavano far machì la guerriglia condotta nella macchia (appostamento, difesa delle posizioni) e ciò per aver adottato la parola durante i frequenti contatti con i maquis francesi” (Alberto Menarini, Profili di vita italiana nelle parole nuove, 1951).
Charles De Gaulle, nelle sue Memorie di guerra, descrive i macchiaiuoli: “Ci si riunisce per bande composte da qualche dozzina di compagni (…). Ci si acquartiera in luoghi riparati, in rifugi, in grotte; bisogna tener duro, sopportare il freddo, la pioggia e soprattutto l’angoscia. I macchiaiuoli sono ininterrottamente in allerta, pronti a fuggire altrove” (trad. mia; pagg. 250-251).
Macchiaiuolo deriva dall’accezione naturalistica della parola macchia, generata dal latino m?cula(m): un luogo di intricata vegetazione appare come una macchia nel contesto del paesaggio.
Nenni fu incerto, nel 1942, se darsi alla macchia: “Saragat attribuisce alla nostra insouciance questi e altri arresti. Il suo, il mio, possono seguire da un momento all’altro. (…) Darmi alla macchia, piantando i miei in una situazione quasi disperata, è cosa per il momento impossibile (7 luglio). Saragat (…) Mi scrive stamane che avemmo torto di non guardare in faccia la realtà e di non renderci conto che restavamo in trappola. E’ vero, ma se fosse da rifare lo rifarei. (…) Ci sono nella vita testimonianze da rendere alle quali non ci si può sottrarre (13 luglio). So cosa si vuole da me: che mi sottragga alla sorveglianza della polizia di Vichy passando nella illegalità. Ma per il momento non so decidermi a lasciare i miei in mezzo ai guai (17 luglio). Ho in animo di buttarmi alla macchia non appena si aprirà il secondo fronte. I compagni sono pronti a darmi l’aiuto necessario. Ma vorrei prima venire a capo dell’infortunio dei miei ragazzi (la figlia Vittoria ed il genero Henri, ndr; 27 luglio)” (da Taccuino 1942).
Vera Modigliani scrive: “E’ venuta la volta di Nenni. (…) Avrebbe potuto anche lui cambiare residenza; si è lasciato prendere!” (fonte Enzo Santarelli, Nenni, 1988). Viene infatti arrestato dalla Gestapo l’8 febbraio 1943: nei mesi successivi è in prigione a Parigi, Treviri, Lussemburgo, Metz, Karlsruhe, Bruchsal, Stoccarda, Ingolstadt, Monaco, Bressanone, Roma.
Nella cella di Parigi, Nenni annota: “Dei tre (prigionieri, ndr) il più tormentato sono io, e non mi tormento per il mio stato di prigioniero (…) ma per l’assenza in cui fino a oggi sono rimasto di ogni notizia da casa. Curioso destino il mio che ha voluto che fossi sempre allo sbaraglio, (…) non conoscessi mai requie, e ha forgiato intorno ai miei polsi, con le dolci catene della famiglia, un legame sentimentale che mi fa soffrire fino allo spasimo, che non mi disarma davanti al nemico, ma in una certa misura mi disarma davanti a me stesso… forse la chiesa ha ragione imponendo all’uomo di Dio di non avere una famiglia” (8 marzo 1943, pubblicato in Tempo di guerra fredda, 1981).
La prossima puntata è con ottimista. francescavian@gmail.com
