Il governo ha deciso che domani cancellerà i voucher. Oggettivamente, una vittoria della Cgil che ha proposto un referendum che ha decisamente impaurito non solo Paolo Gentiloni ma anche Matteo Renzi che stretto tra primarie di partito e amministrative, rischiava il 28 maggio di essere sommerso da un nuovo voto di protesta, al pari di quello dello scorso 4 dicembre. Conclusione: meglio evitare brutte sorprese anche perché correggere la normativa non era semplice per come era posto il quesito.
Ma la cancellazione dei voucher corrisponderà all’eliminazione dei voucher? Perché il dubbio che passata la festa possa venire la voglia di gabbare lo santo è forte e anche fondato. La Confindustria si straccia le vesti, Ncd riscopre la sua vocazione liberista (sempre ai danni dei lavoratori, ovviamente). È evidente che la questione relativa al modo in cui far emergere dal “nero” i lavori occasionali, resta sullo sfondo e dovrà essere affrontato dal potere legislativo e dal governo. Anche perché non vorremmo che domani, di fronte a studi che indicano un’impennata del “sommerso”, si invocasse da parte delle forze politiche l’alibi della cancellazione “obbligata”.
Perché la cancellazione “obbligata” deriva da un ampliamento del campo di azione dei voucher che obbligato non era. In ogni caso, era necessaria una parola chiara anche perché è evidente che il voucher a tutto serviva meno che a soddisfare quella che era l’esigenza iniziale. Era pertanto uno strumento sbagliato o col tempo diventato sbagliato. Non ne sentiremo la mancanza. Al contrario continueremo ad avvertire l’assenza di una politica organica del lavoro e degli investimenti. E quella non è legata a un obbligo referendario.
