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Trump, re dei populisti, oscar dell’inadeguatezza

 

Su Donald Trump si sta scatenando la tempesta perfetta. Prima è venuta fuori la storia (confermata dal diretto protagonista) della trasmissione di notizie “top secret” all’ambasciatore russo, Sergej Lavrov; lui ha risposto in tono padronale, come si conviene a chi ha fatto gli italici “schèi”: posso farlo. E in teoria ha pure ragione perché è lui che toglie e mette la segretezza sulle informazioni riservate. Il fatto è che erano state trasmesse da una agenzia di uno stato estero e la cosa tira direttamente in ballo l’affidabilità di un partner che senza preoccuparsi degli eventuali rischi che può creare agli uomini “sul campo” passa come un atto di cortesia notizie riservate al rappresentante di uno stato che dell’alleanza non fa parte, anzi. Adesso viene fuori l’altra storia ancora più imbarazzante: le pressioni fatte sull’ex direttore dell’Fbi, James Comey, per bloccare le inchieste sull’ormai famoso Russiagate, cioè sui rapporti intrattenuti con Mosca da uomini (uno, Michael Flynn, è già stato costretto a fare le valigie) dell’attuale amministrazione con emissari di Mosca. La risposta negativa di Comey avrebbe “armato” il presidente che ha immediatamente rimosso il direttore sostenendo che aveva perso la fiducia dei suoi subordinati.

Questioni imbarazzanti, che gettano un’ombra lunga sull’amministrazione statunitense avvolgendola in una nube di pericoloso dilettantismo. Ecco, è proprio da questo punto di vista che la parabola di Donald Trump può insegnarci qualcosa. Soprattutto può insegnarla a coloro che con entusiasmo eccessivo aderiscono alle campagne dei numerosi populisti in servizio permanente effettivo (peraltro imitati da chi populista non nasce ma all’improvviso scopre che quella declinazione dell’agire politico garantisce utili immediati alla borsa elettorale).

Se ci sarà l’impeachment capiremo perfettamente in che misura i comportamenti del presidente americano siano stati ispirati dalla buona o dalla malafede, dalla possibilità di ottenere da Mosca un aiutino nella travolgente cavalcata verso la Casa Bianca o semplicemente dalla volontà, un po’ naif, di ripristinare con il potente concorrente-partner relazioni più distese. Al momento, però, una cosa si può dire: queste vicende dimostrano che non basta sostenere pubblicamente, semmai alzando molto i toni, quel che la gente vuole sentirsi dire in questa epoca di grandi incertezze e pericoli, per diventare immediatamente dei grandi statisti o, più semplicemente, degli ottimi politici. Ci vuole qualcosa di più: competenza, equilibrio, capacità di lettura della realtà, coerenza di comportamenti, rispetto delle istituzioni e, semmai, anche il coraggio di dire alla gente quel che la gente non vuol sentirsi dire spiegando, in maniera convincente, perché è necessario agire in quella maniera. Trump ha dimostrato al momento di essere il re dei populisti ma anche il premio oscar dell’inadeguatezza.

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