-di ANTONIO MAGLIE-
La vicenda dell’Ilva e di Taranto è l’ultima conferma della cronica incapacità della classe dirigente italiana a costruire un futuro serio per il Paese, dove la serietà consiste soprattutto nel riconoscimento degli errori compiuti, di cui si può essere responsabili anche solo per via oggettiva (e non soggettiva); e, di conseguenza, nell’adottare soluzioni che assicurino alla collettività sollievo per i danni subiti. Ebbene la vicenda della vendita dell’Ilva per come si è delineata ieri nel corso dell’incontro tra i sindacati e il governo conferma che la classe dirigente italiana, nelle sue variegate forme e coloriture politiche, ha deciso di uccidere Taranto per la terza volta dopo averla gà ammazzata due volte nel disinteresse complice della classe politica locale.
La prima volta risale all’epoca in cui fu deciso l’insediamento in una zona che mai avrebbe dovuto ospitare l’impianto siderurgico perché le analisi sull’impatto ambientale già allora ne sconsigliavano la collocazione: ma c’erano interessi clientelari legati alla proprietà dei terreni da soddisfare.
La seconda è avvenuta quando il centro siderurgico è passato dalla mano pubblica a quella privata senza che la mano pubblica, che non poteva non essere al corrente dei disastri ambientali già provocati, decise la cessione senza imporre a Emilio Riva (una scelta che già all’epoca apparve poco accorta: i fatti successivi hanno confermato questa valutazione) alcun obbligo relativamente al miglioramento delle condizioni generali. Per giunta disinteressandosi dei drammi di una comunità, dimenticata sia dal punto di vista della prevenzione che da quello della cura (in un territorio così fortemente segnato dal cancro sarebbe stato opportuno creare un grande centro oncologico, anche per evitare i “viaggi della speranza” che in tanti sono costretti a intraprendere).
Adesso siamo all’ultimo atto, il terzo. Senza aver in alcun modo risarcito la comunità, costruito le condizioni per una sua rinascita sociale, produttiva, ambientale e sanitaria, si vende l’impianto promettendo il colpo di grazia di un massiccio piano di esuberi. Il tutto nell’incertezza di un procedimento che non esclude la ripetizione di un caso Alcoa con gli stranieri che vanno via una volta conquistato il know how ed eliminato un temibile concorrente. Né rassicura la cittadinanza la presenza di un imprenditore italiano in cordata che in quell’area si è già negativamente distinto. Una classe dirigente che non si assume le proprie responsabilità e non rimedia ai propri errori. A questa classe dirigente si può rivolgere solo l’invito che la vedova Schifani inviò agli assassini del marito (uno degli uomini della scorta di Falcone): inginocchiatevi e chiedete perdono. Per le malefatte del passato e per quelle che vi accingete a commettere nei prossimi giorni.
