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Nenni: “Così il fascismo ha sfruttato i lavoratori”

-di PIETRO NENNI-

Nella giornata in cui un gruppo di ispirazione chiaramente fascista ha cercato di celebrare la “marcia su Roma” anche approfittando dell’indebolimento del sentimento antifascista che caratterizza questa fase confusa più che convulsa della politica italiana, e nel momento in cui da destra si esibiscono improbabili difensori dei lavoratori, ci piace riproporre questo scritto di Pietro Nenni. Si tratta della prefazione a un libro del figlio di Matteotti, Matteo. Titolo: “La classe lavoratrice sotto la dominazione fascista 1921-1943”. Il testo risale al 3 novembre 1944: Roma era stata liberata appena cinque mesi prima ma la guerra non era ancora finita (sarebbe andata avanti altri dieci mesi). Si dice che le ideologie non esistano più. Una tesi tutta ancora da dimostrare. Ma certo esistono le “educazioni sentimentali”. Quel fascismo aveva una sua ala sinistra ma al potere ci andò con la violenza (anche dell’ala sinistra) e con l’alleanza tra industriali e agrari. Giusto per provare a portare un po’ di luce nelle menti legittimamente ottenebrate da un presente che sembra sfuggire all’obbligo di creare le condizioni per un futuro migliore.

Questo libro di Matteotti avrebbe dovuto essere presentato al pubblico da Bruno Buozzi.

Nelle settimane delLa occupazione nazista di Rona, che precedettero il suo arresto, Bruno Buozzi si era consacrato con passione allo studio dei problemi sociali ed economici ed aveva lavorato, con una commissione di compagni socialisti, alla relazione di un progetto di socializzazione della grande industria, al quale il sUo nome resterà indissolubilmente legato anche se il destino ha voluto che Egli fosse bestialmente assassinato dai nazisti proprio il 4 giugno concludendo col suo martirio la parentesi della tirannia fascista apertasi vent’anni prima col martirio di Giacomo Matteotti.

Il libro di Matteo aveva molto interessato Bruno Buozzi, che nel giovane Autore si compiaceva di ritrovare le qualità di serietà e di metodo che avevano fatto del padre un esempio di vita.

Per molto tempo il fascismo è riuscito a far credere all’estero, e perfino in certi settori dell’opinione interna, che la sua sollecitudine per le classi lavoratrici era senza precedenti e senza pari.

Matteo Matteotti distrugge, con dati e fatti irrefutabili, codesta menzogna.

Egli dimostra come venti anni di politica salariale fascista siano stati la dimostrazione del vero carattere del regime dittatoriale: quello di basare i guadagni della oligarchia dominante e privilegiata, sullo sfruttamento dei lavoratori di tutte le categorie.

La legislazione sul lavoro fu costantemente rivolta in regime fascista contro i lavoratori. Ogni forma di protezione a favore degli operai fu rimossa. Con decreto legge si stabilì per molte categorie il licenziamento senza motivazione, senza alcuna garanzia, senza accertamenti, senza preavviso e senza indennizzo.

Le otto ore di lavoro, stabilite sulla carta, non vennero che raramente rispettate ed in alcune regioni si arrivò a dieci ore di lavoro. Per i salariati agricoli gli orari di lavoro raggiungevano anche le tredici e le quattordici ore. Accanto allo sfruttamento del sopralavoro durante tutto il periodo fascista si è avuta una disoccupazione elevatissima che, dopo il 1933, non scese mai sotto al milione di senza-lavoro.

Lo sfruttamento della mano d’opera femminile ed infantile da parte degli imprenditori non ebbe limite ed il controllo dello Stato in questo campo non fu mai esercitato.

Il regime di fabbrica, basato sui sistemi polizieschi introdotti dal fascismo in tutta la vita del paese, fu tale da rendere insopportabile la vita dei lavoratori nei posto di lavoro. Negli stabilimenti furono immessi fascisti con funzioni puramente intimidatorie e di spionaggio.

Il riposo settimanale in molti casi non fu rispettato, quello annuale quasi mai. Gli operai venivano regolarmente licenziati prima dello scadere del termine del periodo che dava diritto al riposo annuale.

Il lavoro straordinario nel periodo 1919-21veniva retribuito con aumenti del 25% per le ore successive all’ottava e fino alla decima e del 50% per le ore successive alla decima, dopo l’instaurazione del regime fascista venne retribuito con aumenti molto più bassi e cioè del 15% per le prime due ore di lavoro straordinario e del 25% per le ore successive.

Le previdenze del regime fascista a favore della classe lavoratrice, tanto vantate, non ebbero altro scopo che quello di dare allo Stato disponibilità finanziarie decurtando i già magri salari.

Matteo Matteotti desume la condanna obbiettiva della politica del fascismo nei riguardi della classe operaia dai risultati della ventennale dittatura:

  1. aumento della disoccupazione;
  2. aumento degli infortuni sul lavoro nell’industria, che da 134.336 del 1921 passano a 677.013 nel 1942, e nell’agricoltura, dove si passa da 94.280 nel 1922 a 213.408 nel 1940 e corrispondente aumento dei casi di morte per infortuni sul lavoro nelle industrie, che da 444 nel 1921 passano a 2177 nel 1941, e nell’agricoltura, che da 319 nel 1922 passano a 1557 nel 1939;
  3. diminuzione dei consumi dei generi alimentari, che denotano l’abbassarsi continuo del livello alimentare delle classi lavoratrici.

È noto come Mussolini abbia cercato di fare, anche della miseria del popolo, un’arma di guerra, e ricordandosi di essere socialista, si sia sforzato di applicare la dialettica marxista della lotta di classe non ai rapporti tra sfruttati e sfruttatori, fra lavoratori e capitalisti, ma ai rapporti fra nazioni ricche e nazioni povere.

È col miserabile pretesto di dare la terra ai contadini e il pane agli operai che la Nazione è stata impegnata in tre guerre criminali, le quali hanno procurato lauti profitti ai ceti dirigenti industriali, marittimi, agrari e bancari e si sono concluse con la distruzione del paese.

Posti di fronte alla necessità di tutto rifare, i socialisti ed i lavoratori non possono sperare di condurre a termine la ricostruzione materiale del paese se nel contempo non si compie una vasta e profonda bonifica delle coscienze attraverso la confutazione di ciò che può sopravvivere al disastro delle menzogne e dei miti fascisti.

È ciò che Matteo Matteotti ha fatto con questo libro al quale auguro il meritato successo.

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