-di FEDERICO MARCANGELI-
Le armi da fuoco in Italia sono quasi un taboo: non se ne parla e nessuno si è mai (o quasi) preso la briga di compiere un’analisi dettagliata del quadro nostrano. L’unico aspetto che si tocca è quello della “legittima difesa”, con il consequenziale concetto che “bisogna armarsi” per difendersi. Non è ben chiaro però da quale minaccia, visto che i reati sono in calo rispetto al 2016 (-11,2% omicidi, -7% furti e -8,7% rapine) ed in crollo nel triennio 2014/2017 (-25,3% omicidi, -20,4% furti e -23,4% rapine) secondo i dati del Ministero dell’Interno. Le uniche a doversi difendere dovrebbero in realtà essere le donne, che registrano un numero costante di vittime tra le mura domestiche (con numeri in crescita in alcune regioni come il Trentino Alto-Adige o il Friuli Venezia Giulia), tutte uccise da un familiare o dal partner (o ex). Tornando alle armi, è abbastanza evidente che, nel nostro paese, esse siano più una fonte di violenza piuttosto che un deterrente per i malintenzionati. Questo sotto il fronte della sicurezza, perché il discorso cambia se si parla di uso differente da quello per la “difesa personale”: caccia, uso sportivo o collezionismo. Uno dei problemi del sistema italiano è che il porto d’armi ad uso sportivo consente di detenere un arsenale non indifferente: 3 armi comuni da sparo (“i fucili anche semiautomatici con una o più canne ad anima liscia; i fucili con due canne ad anima rigata, a caricamento successivo con azione manuale; i fucili con due o tre canne miste, ad anima liscia o rigata, a caricamento successivo con azione manuale; i fucili, le carabine ed i moschetti ad una canna ad anima rigata, anche se predisposti per il funzionamento automatico; i fucili e le carabine che impiegano munizioni a percussione anulare, purché non a funzionamento automatico; le rivoltelle a rotazione; le pistole a funzionamento semiautomatico; le repliche di armi antiche ad avancarica di modelli anteriori al 1890;”), 6 armi sportive (quelle, sia lunghe sia corte che, per le loro caratteristiche strutturali e meccaniche, si prestano esclusivamente allo specifico impiego nelle attività sportive) ed un numero illimitato di armi da caccia. Inoltre è possibile detenere 200 munizioni (totali tra pistola e carabina a canna rigata) e 1000 cartucce per fucile da caccia. Capiamo bene che questo fantomatico “porto d’armi sportivo” mette nella disponibilità del soggetto una “potenza di fuoco” non indifferente. Per richiederlo è sufficiente un certificato idoneità psico-fisica della Asl ed uno di idoneità al maneggio delle armi, rilasciato da una Sezione di Tiro a Segno Nazionale (solo per chi non abbia prestato il servizio di leva). Una volta rilasciato ha durata 6 anni.
Tralasciando il numero di armi che è consentito detenere, il porto d’armi sportivo è ragionevolmente complesso da ottenere il Italia ed è sottoposto ad un buon grado di controllo (anche una lite in strada può portare alla sua revoca o sospensione). Il problema però c’è e non è neanche sottovalutabile : sussiste il fondato sospetto che esso venga utilizzato come sostitutivo di quello per difesa personale, da tutti quei soggetti che vogliano possedere un’arma in casa. Infatti, quest’ultimo ha un’iter molto più complesso ed il suo rilascio è effettuato dal Questore dopo una richiesta motivata (ad esempio per le professioni a rischio rapina). Discorso simile per quello relativo alla caccia che, pur non richiedendo i requisiti del precedente, è più laborioso per via del relativo esame per l’abilitazione venatoria. Questo sospetto viene confermato dai dati del Ministero dell’Interno. Nel triennio 2014/2017 il numero di porto d’armi per difesa personale è sceso del 12,01%, mentre è rimasto sostanzialmente costante quello relativo alla caccia (+3,4%). Quello che ha subito un’impennata è proprio il porto d’armi ad uso sportivo che ha visto un aumento del +41,63%. Quindi, o ci siamo reinventati professionisti del “tiro a volo” (il che sarebbe ottimo per il futuro medagliere olimpico), oppure la destinazione d’uso delle armi acquistate non è prettamente sportiva. Scusate tanto la mancanza di fiducia, ma questa seconda opzione mi sembra la più plausibile. Per fare un esempio pratico, l’autore dell’attentato di Macerata (Luca Traini) possedeva 9 pistole (tra sportive e comuni), proprio grazie al porto d’armi sportivo. Inutile dire che, secondo numerosi quotidiani, al poligono della cittadina nessuno lo avrebbe mai visto, segno che la destinazione di quelle armi non fosse (probabilmente) per uso sportivo.
Dopo queste informazioni bisogna rispondere alla domanda finale che in molti (me compreso) vi starete facendo: quante armi ci sono in Italia? Purtroppo non c’è risposta a questa domanda, che sembra non interessare ad anima viva. Non esiste infatti un dato certo sul numero di armi nel nostro paese e, vista la grande libertà di possesso concessa con il porto d’armi sportivo, appare anche complicato effettuare una stima certa. Questa mancanza è alquanto curiosa, visto che l’acquisto di ogni arma andrebbe denunciato entro 72 ore dall’acquisto. Uno dei rapporti considerati più affidabili sul tema (lo “Small army Survey”) risale a 10 anni fa e stimava un numero incluso tra 4 e 10 milioni di armi. Altri parlano di 11-12 milioni, in quadro alquanto confusionario. Qualsiasi studio si prenda a riferimento, il numero che esce fuori è non altissimo (in Germania stiamo sui 26’000 ad esempio). Il problema è la conversione di questo numero in termini di omicidi con arma da fuoco, che risulta essere mediamente più alto in relazione ad altre nazioni sviluppate (0,9 ogni 100’000 abitanti). Tra i paesi del G8 l’Italia è il secondo (dietro gli USA) in questa speciale classifica.
Quindi, dire che l’Italia abbia un problema con le armi è forse esagerato, ma non bisogna neanche abbassare la guardia riguardo tale fenomeno. Soprattutto in questi anni di campagna elettorale continua, con politici che inneggiano ad armarsi in nome di una fantomatica necessità di sicurezza.
dati aggiornati al 2018
