-di Luca Giammarco-
Su Hunter Doherty “Patch” Adams si è venuto a creare un vero mito, soprattutto dopo il film interpretato da Robin Williams. Non che questo status quo sia sbagliato, ma decontestualizzare un fenomeno – soprattutto se intrattiene rapporti col mondo della scienza – è sempre sbagliato.
Se venisse condotta un’inchiesta, molte persone risponderebbero per mera associazione: Patch Adams è l’inventore della clownterapia. Ed è vero. Ma in cosa consiste, quale la sua funzione, la sua utilità rispetto al processo di diagnosi e cura di una malattia: tutto questo non troverebbe risposta (tranne che in un campo ristretto di persone che vogliono approfondire non accontentandosi del “così si dice”).
Partirei da questa considerazione: la clownterapia, nella sua prassi così come è conosciuta, non è una teoria medica e non ha nulla di scientifico in senso stretto. Il dottor Adams ha spiegato in alcune sue conferenze le sostanze chimiche che il riso libera nell’organismo e quali sono i suoi effetti benefici; e non mi sento di contestare le sue tesi. Ma stando al fenomeno clownterapiacome attuato laddove consentito, viene da pensare che si tratti più di una prassi medica che ha a che fare col rapporto con il paziente.
In un articolo precedente avevo detto che uno dei doveri del medico, il principale, è quello di rendere felici divertendo. Non nel senso di suscitare ilarità in coloro che cura, ma liberandoli da quei meccanismi mentali che associano spontaneamente patologia a morte; ignorando che ormai, grazie ai progressi fatti in ambito medico-scientifico, con tantissime patologie più o meno gravi è possibile convivere in modo più che dignitoso. Un caso su tutti: l’Aids.
Per riuscire nel suo intento di divertire, il medico deve intrattenere un rapporto con il suo paziente fatto il più possibile di vicinanza, talvolta di compassione, mai di compiacimento. Ma per realizzare tutto ciò, è necessario abolire quella lastra di vetro che anni ed anni di prassi dottorale hanno frapposto tra noi camici bianchi e i destinatari delle cure.
La clownterapia adempie precisamente a tale compito. Al tempo in cui il dottor Adams iniziò a lavorare secondo la sua concezione, presentandosi ai pazienti in modo comico e surreale, in un contesto tutto forma e distanza, tutto asetticità e freddezza non poteva che essere visto male.
In certo qual modo, la clownterapia segnò la fine dell’autorità sacrale e indiscutibile del medico rendendolo più umano. Un processo che facilitò i processi di cura perché i pazienti si sentivano quasi in dovere di cooperare con i dottori, prendendo coscienza non drammatica del loro stato di salute.
“Per noi guarire non è solo prescrivere medicine e terapie ma lavorare insieme condividendo tutto in uno spirito di gioia e cooperazione”, afferma il dottor Adams.
Credo che lo spirito della clownterapia sia ottimamente riassunto in queste poche ma essenziali parole. E già qui si comprende come si tratti di una prassi più che di una teoria scientifica.
Demitizzarla, spogliarla dai tanti fraintendimenti dei quali è caduta vittima aiuterebbe non solo una sua maggior diffusione, ma anche un’ancora più radicale presa di coscienza del ruolo del medico: non colui che cura emettendo diagnosi, ma un uomo che collabora attivamente con i suoi pazienti accompagnandoli passo dopo passo verso la guarigione, quando e se possibile; o verso una sana e dignitosa convivenza con la patologia.
Visto così, al di là del suo stesso mito, Patch Adams è ancora più mitico.

