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L’elaborazione del lutto nella sinistra tra canzone politica, jazz e musica contemporanea

musica, politica e socialismo

-di Maurizio Fantoni Minnella –

 

La canzone politica ha accompagnato con fedele presenza tutti i grandi eventi, dalla guerra di Spagna fino alla morte del Che Guevara in Bolivia e nella contemporaneità dei movimenti di lotta antifascisti e anticapitalisti.  Essa è come una liturgia necessaria che nei cortei politici di massa si manifesta quasi in forma di preghiera antifonale: voce singola + coro. La canzone politica è il refrain di un pathos politico mai spento di coloro i quali hanno scelto la non rassegnazione che tuttavia presenta una inevitabile contraddizione: la costante ricerca di un piano simbolico di rappresentazione a fronte della constatazione di una sconfitta. Come a dire: moriamo ma siamo vivi, oppure, abbiamo perso ma ugualmente marciamo “fino alla vittoria, sempre!”.

Vi sono almeno sette canzoni, Bella ciao, Canción del Che, Morti di Reggio Emilia, El pueblo unido, Stalingrado, Contessa, La ballata dell’anarchico Pinelli e in tempi più recenti I Cento passi, veri e propri inni attraverso i quali perpetuare il ricordo di fatti e di figure mitici, irripetibili, nell’immaginario di ogni militante. Al di là delle sue origine oscure, che giungono fino a noi attraverso il canto delle mondine su melodia anonima (il gruppo rock carrarese Les Anarchistes ne ha eseguito una versione conforme a quel testo popolare nell’unico loro album Figli di un’origine oscura, 2002), Bella Ciao (che curiosamente non fu mai cantata durante gli anni della Resistenza, ma per la prima volta da Fausto Amodei e Sandra Mantovani nel 1963 e successivamente ripresa da Giorgio Gaber) nella versione canonica è innanzitutto un inno alla memoria partigiana, al coraggio dei suoi uomini e delle sue donne, dove la morte è dolce “sotto l’ombra di un bel fior”…del partigiano eroico morto per la libertà, come sarà, più tardi, del “guerrillero heroico” Ernesto Che Guevara, a sua volta perennemente evocato nella leggendaria canzone composta da Carlos Puebla nel 1965, conosciuta anche come Hasta Siempre, e a lui dedicata dove le parole “entrañable transparencia” e “querida presencia” possiedono la forza di evocare innanzitutto il carattere mite e leale di un uomo che incarnò per più generazioni il mito romantico del rivoluzionario ancor più di un Lev Trockij.

Nel brano Per i morti di Reggio Emilia, il cantautore torinese Fausto Amodei ha saldato con forza i morti della Resistenza partigiana con le cinque vittime della manifestazione sindacale di Reggio Emilia del 7 luglio del 1960 a confermare l’esistenza di una continuità storica e politica tra la Resistenza antifascista e le lotte politiche e sindacali del dopoguerra, come peraltro viene mostrato in queste strofe: Compagno cittadino/Fratello partigiano/Teniamoci per mano in questi giorni tristi/Di nuovo a Reggio Emilia…  A Genova, soltanto un mese prima, i compagni portuali ma non soltanto loro, cacciano i fascisti del Movimento sociale che avevano scelto proprio la città più antifascista d’Italia come sede del loro convegno nazionale. Tuttavia la canzone che nascerà poco dopo, non sarà ispirata ai fatti di Genova che peraltro rimasero impressi come motivo d’orgoglio, nella memoria di tanti compagni, ma ai cinque militanti uccisi negli scontri con le forze dell’ordine a Reggio Emilia. Ciò non è affatto casuale dal momento che la memoria delle vittime attraverso la canzone e la sua diffusione rafforza lo spirito collettivo di lotta e al tempo stesso ne elabora il lutto.

Con El Pueblo Unido, composta nel 1970 da Sergio Ortega e punta di diamante del vasto repertorio degli Inti Illimani, gruppo di riferimento, insieme ai Quilapayún, della Nueva Canción Chilena, l’intera collettività militante a sinistra, quella che abitualmente vediamo popolare i cortei, trovò il suo più potente inno, nel quale è appunto il popolo nella sua totalità ad esserne il protagonista che solo unito non sarà mai vinto. In tali parole musicalmente scandite da un ritmo cadenzato che rammenta la canzone operaia di lotta tedesca, è contenuto l’impeto utopico dell’unità delle masse popolari contro i nemici di sempre: il fascismo e l’imperialismo.

Quanto a Stalingrado, canzone seminale del gruppo rock italiano tra i più impegnati politicamente, gli Stormy Six, il cui leader Franco Fabbri, milanese, oggi è un affermato etnomusicologo, si sentiva nei locali frequentati dai gruppi extraparlamentari di sinistra e cantata sovente nei cortei, sebbene mai nella sua integrità.  Brano dal ritmo incalzante, che si placa in brevi intervalli descrittivi dello scenario storico della città sovietica eroe della resistenza anti-nazista, contiene Il refrain “Stalingrado in ogni città”, inteso come rivoluzione permanente, o, con ancor maggiore aderenza, come riferimento al 10-100-1000 Vietnam di guevariana memoria.

Anche Contessa di Paolo Pietrangeli, figlio del regista Antonio Pietrangeli e cantautore impegnato nella Nuova Sinistra, al pari di Stalingrado, si proponeva come brano rivoluzionario del ’68 e ancor più del movimento del ’77, la cui genesi fu splendidamente rievocata da Francesco Maselli in una sequenza di Lettera aperta a un giornale della sera, 1970, nato peraltro, nel milieu della borghesia radicale romana, per nulla amata e neppure tollerata dall’allora Partito Comunista. L’odio antiborghese radicale che la canzone esprimeva era estraneo al comune sentire dei compagni del partito comunista, i quali, dismessa da tempo la casacca dei rivoluzionari e sotterrate le armi dei compagni partigiani, con la borghesia e il mondo cattolico intendevano, invece, giungere a un dialogo che finì per chiamarsi “compromesso”, che diventò “storico”.                      .

Della Ballata dell’anarchico Pinelli esistono almeno diverse versioni, una delle quali, per voce accompagnata da una chitarra, cantata da Jo Fallisi, conosciuto come cantante lirico, anarchico, militante per la causa del popolo palestinese, con alcune varianti nel testo e forte di un maggior pathos politico. Tuttavia la più nota e quella del Gruppo Z, apparsa nell’album Canti anarchici italiani, 1973. Al valore evocativo delle parole che rammentano il clima dell’omicidio di Pinelli, le voci dell’assurdo interrogatorio, si unisce quello dello scandalo della “strage di stato”.  Ciascuna versione mantiene intatta la parafrasi melodica del canto anarchico antimilitarista Gorizia tu sia maledetta, composta da autore anonimo nel 1916.

Nel celebrare la figura di Peppino Impastato, le sue gesta nel paese della mafia, Cinisi, partendo da quei cento passi (in realtà assai meno), che separavano la sua casa da quella del boss mafioso Tano Badalamenti, i Modena City Ramblers, un altro gruppo formatosi negli anni ’90 e conosciuto per il forte impegno politico terzomondista, compongono un altro inno alla memoria di un uomo che coraggiosamente, aveva scelto la sua lotta, inglobando nella canzone una sequenza divenuta ormai leggenda del film di Marco Tullio Giordana, I cento passi, 2000, in cui Peppino chiede al fratello minore se  è in grado di contare e di camminare e contare insieme… Su un ritmo popolare irlandese, cifra distintiva di questo gruppo, si snoda la celebrazione di una vita breve ma appassionata, animata dal coraggio di chi sapeva di essere dalla parte del giusto nell’andare fino in fondo nella propria battaglia contro il nemico più temibile e insidioso: la mafia.

Infine, si dirà, ancora, di Bella Ciao come la canzone più longeva capace di risorgere come l’araba fenice dalle rovine del movimentismo degli anni settanta e quindi riproporsi negli anni duemila, con il sorgere di nuove lotte contro il processo di globalizzazione e contro tutte le guerre durante il G8 genovese del 2001 e negli anni che seguirono. E in tempi in cui l’antifascismo dava segnali di stanchezza, gravato anche dal peso mediatico del nuovo revisionismo storico della Resistenza, la riproposizione di Bella Ciao, se per un verso testimoniava una rinnovata sensibilità verso uno dei temi cruciali della dialettica politica della seconda metà del novecento, per l’altro mostrava una sorta di stanchezza creativa, il ripiego verso un’espressione che potremmo definire del già vissuto. E’ peraltro difficile oggi stabilire con certezza cosa significhi essere antifascisti in una società che ha trovato modi diversi per imporre le proprie scelte politiche, leggi senza bisogno di ricorrere a colpi di stato a modelli di tipo totalitario, tenendosi in bilico all’interno del sistema democratico. Democrazia qui intesa, naturalmente, non come idiozia, come recitava un Giorgio Gaber al culmine di una nichilistica indignazione, in Io se fossi Dio, 1980, ma piuttosto come griglia obbligata ma flessibile paragonabile al lavoro precario entrato ormai in un regime di assoluta normalità.

Infine…

Lamento per la morte di Pasolini di Giovanna Marini, dall’album I treni per Reggio Calabria, 1979 che la cantautrice ripropose in un lavoro interamente dedicato al grande poeta, forse il suo capolavoro, Pour     Pier Paolo Pasolini, 1984, basato su una scelta di poesie in dialetto friulano, che si chiude proprio con il Lamento, il solo brano in italiano. Nella prima delle sei quartine in rima si dice: <<Persi le forze mie persi l’ingegno/la morte mi è venuta a visitare/”e leva le gambe tue da questo regno”/persi le forze mie persi l’ingegno…>> Ovvero la morte come tabula rasa, conclusione di tutto, perdita di sé ma anche separazione definitiva dal paese “orribilmente sporco”, del quale in Petrolio, il poeta aveva denunciato l’orrore morale, ovvero l’Italia.

  1. Sonore militanze tra Luigi Nono e Giorgio Gaslini
  2. La figura di Luigi Nono (1924-1990), tra le più significative dell’intero ‘900 musicale viene oggi ricordata soprattutto nei conservatori di musica, nelle conventicole della critica militante costantemente affamata di modernità e di sperimentalismo, e per nulla dal grande pubblico, perfino dai cultori di musica cosiddetta “classica”. Nella fase per così dire, centrale della sua opera di compositore, Nono, di autentica fede comunista, pur militando attivamente nel partito, aveva assunto una posizione critica verso il socialismo reale e i suoi metodi autoritari e statalisti, concentrandosi piuttosto sull’elaborazione di un terzomondismo partecipato e sofferto, solidale con i movimenti di lotta per la liberazione dei popoli oppressi dalle dittature a dall’imperialismo yankee, come si diceva una volta. Tra le opere che meglio esprimono questo suo sentimento ideale di partecipazione alle loro lotte, si pone certamente Como una ola de fuerza y luz per soprano, pianoforte, orchestra e nastro magnetico, 1971-1972, dedicata alla figura di Luciano Cruz, membro effettivo del Mir cileno (Movimento dell’Izquierda Rivoluzionaria), morto in circostanze misteriose il 14 agosto del 1971. La composizione si avvale di un nastro magnetico che riprende le sonorità della voce e degli altri strumenti riuniti nell’orchestra con il pianoforte solista, in una sorta di dimensione drammaticamente astratta tuttavia concitata e tenera al tempo stesso. Il testo cantato nel tipico stile del compositore veneziano, spezzettato in brandelli isolati, talora ridotto a semplici fonemi, è tratto da un poema dello scrittore argentino Julio Huasi:

Luciano!, Luciano!, Luciano!/

El en los ventos azarosos/De esta tierra/Seguiras/Flameando/Joven como la Revolución/En cada carga de tu pueblo/Siempre vivo/Y cercano/Como el dolor de tu partida./

Como una, Luciano, ora/ de fuerza/joven como la revolución/siempre vivo/y seguiras flameando/luz/para vivir./

Voces de ninos/ doblen/campanas dulces/ por/tu joventud/.(1)

Nono stesso intraprese un lungo viaggio di tre mesi nel continente latinoamericano (2), durante il quale entrò in contatto con diversi membri di movimenti rivoluzionari, figure di spicco nella lotta contro il fascismo, in Argentina, Uruguay, Cile e Perù dove verrà arrestato e immediatamente espulso. Dopo il golpe fascista del 1973, il compositore    ospitò nella sua casa veneziana della Giudecca alcuni compagni fuoriusciti. Nono era convinto che la transizione verso una società comunista avrebbe avuto bisogno anche del necessario contributo dell’artista, in questo caso, della musica e dei musicisti, più o meno consapevoli della difficoltà nella ricerca di una forma espressione più adatta a veicolare un determinato messaggio politico in grado di giungere    al maggior numero possibile di persone. A tale proposito può essere utile il paradosso dell’anteprima genovese di La fabbrica illuminata, 1964, una composizione elettroacustica, avvenuta all’interno della grande fabbrica Italsider di Cornigliano che aveva ispirato la composizione e nella quale Nono, trovandosi ad un certo punto alle prese con una serie di fischi, redarguì quella parte di pubblico che aveva mostrato insofferenza verso una musica che non comprendeva, affermando che vi erano altri modi di esprimere il dissenso che non quelli propri della cultura di massa. La sua musica “politica”, concetto di difficile se non ardua comprensione oggigiorno e ad ingiusta ragione, aggiungiamo noi, proprio in virtù del fatto di non concedere nulla alla retorica della propaganda mediante l’utilizzo di proclami e sonorità “facili”, di avere rifiutato la via della divulgazione mediatica del messaggio politico (che in questo caso era l’alienazione del lavoro), non aveva trovato una corrispondenza con il pubblico della classe operaia presente all’evento. Era questa l’utopia noniana e di pochi altri compositori, che oggi appunto, ci appare sempre più lontana senza per questo intravedere un’alternativa al quieto dissolversi della ragione dialettica, dell’idea di giustizia eguaglianza e libertà, insieme all’abdicazione pressochè totale dell’artista, sia esso scrittore, musicista o altro, al farsi partecipe dell’impegno politico nazionale e internazionale… Del resto il suo impegno civile si era già manifestato con la stesura dell’opera Intolleranza 60, 1960, un’azione scenica in due tempi, basata su un’idea di Angelo Maria Ripellino e su testi di Éluard, Brecht, Majakovskij, Césaire, Sartre, Fu?ik, calati nel contesto italiano durante il fascismo. Il lavoro e la libertà, la repressione e la tortura sono i temi di un confronto serrato con una musica il cui linguaggio votato alla serialità regalava momenti di grande tensione drammatica, pur tuttavia non rinunciando all’ermetismo estratto di una scrittura seriale (3). Ancora prima, nel lontano 1954 Nono dava alle stampe la partitura di La victoire de Guernica su un testo di Paul Éluard, un canto disperato in onore delle vittime del bombardamento dell’aviazione nazista e fascista del 26 aprile 1937. A questa composizione assai poco eseguita, segui alcuni anni più tardi la più nota A floresta é jovem e cheja de vida, 1965-’66, per soprano, 3 voci di attori, clarinetto in SIb. Lastre di rame, 2 nastri magnetici, dedicata al Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam (FNL), laddove per foresta s’intenda la giungla vietnamita dove si combatteva una strenua lotta di liberazione. Il suo impegno politico da intellettuale decisamente schierato sul fronte anti-imperialista, dunque, già si annunciava ampio e coerente con una visione decisamente internazionalistica, propria della cultura marxista-leninista.

Pur provenendo da una formazione politica diametralmente opposta a quella di Luigi Nono, il compositore cattolico polacco Krzysztof Penderecki (1933-2020) pervenne ad un risultato analogo con una delle sue composizioni più significative, Trenodia per le vittime di Hiroshima, 1961, proprio attraverso l’uso di un linguaggio musicale d’avanguardia dove il trattamento fortemente “materico” degli archi, creava una sorta di impatto sonoro in grado di evocare l’impeto della tragedia atomica.   Guernica, Hiroshima e oggi Gaza, finchè la guerra avrà ancora un posto di primo piano nella storia, vi sarà sempre colui o colei che in arte, letteratura, musica e altro, sceglieranno comunque di coniugare l’impegno politico con la libertà creativa.

  1. Nel medesimo contesto storico politico italiano, un altro musicista, l’eclettico Giorgio Gaslini (1929-2014), formatosi come pianista in ambito strettamente jazzistico, ebbe varie fasi nella sua lunga carriera creativa (4), non ultima quella, peraltro assai redditizia, di compositore di colonne sonore per il cinema. Tuttavia negli anni della contestazione giovanile lo troviamo impegnato in alcuni lavori “militanti” come Fabbrica occupata, 1973, Graffiti, 1978, Concerto Della Resistenza (Università Statale) per quartetto, 1974 ma soprattutto Colloquio con Malcolm X, 1974, presentato in anteprima al Teatro Margherita di Genova, oggi scomparso. Tratto dall’Autobiografia di Malcolm X edita da Einaudi nel 1965, è una singolare cantata dallo stile che conferma il sostanziale eclettismo dell’autore, celebrazione dell’eroe, del rivoluzionario nero, ucciso a tradimento “per conto del bianco”, come recita un passaggio finale della composizione. Dopo Martin Luther King, uomo moderato e di pace, Malcolm X, estremista rivoluzionario, entrambi afroamericani, vittime della furia razzista che dominava l’America negli anni sessanta-settanta e che ancora oggi imperversa, sostenuta dal “trumpismo”, in alcuni settori della società. Gaslini al pari di Nono, non si rivolge, ad esempio, a un martire italiano, a una figura significativa della Resistenza antifascista, ma a un protagonista della scena rivoluzionaria internazionale, figura controversa ma pur sempre leggendaria, oppure ad un rivoluzionario cileno sconosciuto ai più.

Un’azione musicale, come recita il sottotitolo, con una voce maschile narrante, fedele al testo originale, che precede i singoli quadri sonori per singoli, coro e orchestra jazz. Una linea melodica piuttosto laconica affidata al sax soprano è il leit-motiv di una narrazione che procede per alternanza di pezzi strumentali e pezzi corali o voci soliste divise tra ispirazione lirica ottocentesca e negro spiritual, entrambe tesi all’unità del racconto nella sua solida tesi politica, ovvero l’emancipazione del singolo afroamericano verso una coscienza rivoluzionaria.

 

 

Note

  1. Luciano! Luciano! Luciano! /Nei venti casuali di questa terra/continuerai/fiammeggiante giovane come la Rivoluzione/In ciascuna carica del tuo popolo/Sempre vivo/E vicino/ come il dolore per la tua scomparsa. / Come una, Luciano, ora/Di forza/Giovane come la Rivoluzione/Sempre vivo/E seguirai fiammeggiando/Luce/Per vivere. / Voce di bambini/Squillano/Dolci campane/Per/La tua giovinezza.
  2. Con Nono c’erano la moglie Nuria Schoenberg, figlia del grande compositore austriaco Arnold Schönberg e le due figlie Silvia e Serena Bastiana. A quest’ultima dobbiamo l’interessante film di montaggio I film di famiglia, 2018, presentato in anteprima al Biografilm Festival, realizzato con materiali in super 8 girati dallo stesso Nono e da Nuria, nel quale molto spazio era dedicato al viaggio in America Latina a cui seguirono altri a Cuba.
  3. Inaugurata al teatro La Fenice di Venezia nel 1961, verrà riproposta nel 2011 nel medesimo teatro con il titolo di Intolleranza, a ribadire il carattere universale e non circoscritto ad un’epoca in cui l’antifascismo era un sentimento forte e collettivo.
  4. Gaslini viene ricordato anche per il suo contributo teorico presente nel volume Musica totale, Feltrinelli editore, 1964, dove si prefigura una sorta di nuovo umanesimo musicale che nascerebbe dall’unione sapiente di tutte le musiche esistenti o almeno di quelle che hanno significato e caratterizzato la modernità.

 

 

 

 

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