di Francesca Vian
Ricorre oggi l’anniversario della nascita di Nenni. Molti anni fa, a Faenza, nasce un uomo politico che sarà definito il più grande giornalista del secolo (Paolo Spriano). La forza persuasiva di Pietro Nenni domina i suoi scritti e i suoi discorsi più belli.
Egli tocca i momenti più alti, immaginando “il mondo riconciliato di domani“. I passaggi suggestivi, infatti, sono scritti con uno stile profetico, cioè si disegna un mondo nuovo, verso il quale volgere i nostri passi tutti insieme. Non è un augurio, e non è nemmeno una speranza: è una certezza.
Sono immagini commoventi: sono la forza persuasiva di Pietro Nenni.
“Risaliremo la dura salita, dal fondo del burrone in cui il fascismo ci ha precipitati alla luce delle vette, dove ritroveremo la gioia di vivere delle opere feconde del lavoro non più sfruttato, della democrazia liberata dalle deturpazioni e dalle ipoteche borghesi, della pace internazionalmente organizzata” (Avanti!, 5,6 giugno 1944).
Come si vede, Nenni usa la persona del “noi“: egli è una delle persone a cui parla, una delle persone a cui scrive. Il “noi” è una strategia che porta una comunione senza pari con l’uditorio: commuove, convince, persuade.
Anche nel discorso tenuto a Roma, dopo la morte di Bruno Buozzi, Nenni usa il “noi“. Riesce ad immaginare il mondo di domani anche in mezzo alle rovine: con la stessa forza di un tralcio di vite, sorgerà una nuova civiltà.
“Ieri”, nella “allucinante rovina” di Cassino, “vidi un vecchio contadino curvo sotto il peso della solforatrice e che nel sole infuocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto”, “e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo” e col “socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di una nuova civiltà” (Pietro Nenni, Cosa avrebbe detto Bruno Buozzi, discorso tenuto al Teatro Adriano di Roma, il 4 luglio 1944, alle ore 18).
Il tralcio di vite è una immagine che il popolo conosce, così come conosce, nel 1945, il freddo e la fame. Da vicepresidente del Consiglio: «Noi andremo alla battaglia per la Costituente e alla battaglia della Costituente ognuno sotto la sua bandiera, ma col sentimento della nostra comune responsabilità. (…) Uomini e donne di Milano, vecchi e giovani, sia in tutti voi la certezza che questo è l’ultimo inverno di angoscia e che al soffio della primavera saluteremo la nascita dell’Italia repubblicana nella libertà e nella giustizia sociale» (Discorso, 14 ottobre 1945).
Nella seconda metà del Novecento la vita della gente migliora moltissimo, come scrive Luciano Pellicani nello splendido articolo ‘Novecento, secolo del progresso’, pubblicato nel blog della Fondazione Nenni. Anche le profezie di Nenni mutano, rimanendo ugualmente molto suggestive fino alla fine. Il 28 marzo 1960, alla Conferenza internazionale di Bruxelles “Possibilità e prospettive del socialismo europeo”, Nenni conclude il suo intervento: “Ciò che importa è andare avanti, ciò che importa è salire gradino a gradino la scala che se non è quella di una umanità perfetta, senza problemi e senza contraddizioni, è però quella di un progressivo elevarsi della lotta politica e della lotta di classe ad un livello sempre superiore di civiltà, di progresso, di fraternità. Il socialismo non è altro che questa lotta nella sua più alta espressione di pace tra gli Stati e di giustizia egualitaria tra gli uomini” (da “I nodi della politica estera italiana”).
Nell’ultimo discorso di Nenni, come presidente provvisorio del Senato, è ancora presente il “noi“, anche se gli interlocutori non sono più, in Parlamento, persone del popolo. La profezia diventa scelta di vita e testimonianza umana: “Tocca a noi, con la nostra unità, il nostro lavoro, la nostra perseveranza, ristabilire i valori della libertà individuale, il sentimento della responsabilità collettiva dello Stato, l’espletamento della vita democratica della nazione sulla base di uno sviluppo sociale, economico e culturale che sia una garanzia per i lavoratori, per le donne, per i giovani verso una nuova qualità della vita” (20 giugno 1979).
La lingua politica di Pietro Nenni non ha eguali. Egli abbraccia con un “noi” le persone che ha davanti, chiedendoci di camminare con lui verso un futuro migliore.

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