Un 8 marzo con l’amaro in bocca

di Edoardo Crisafulli

Primi anni Ottanta: io – giovane comunista – celebravo la Giornata della donna in piazza, scandivamo in coro slogan a una manifestazione in quel di Rimini: era un tripudio di mimose e volti festanti. Un’ondata di calore ci univa tutti, uomini e donne, compagni e compagne. Questa esperienza l’avrei rivissuta immutata negli anni seguenti, da socialista. L’8 marzo era uno dei pochi giorni – insieme con il 25 aprile – in cui si materializzava il nostro sogno: l’unità delle sinistre. Non erano state forse le sinistre a far passare la legge sul divorzio e quella sull’aborto, la 184? Non erano forse le destre e i cattolici conservatori a voler schiacciare la libertà della donna in nome del motto fascista ‘Dio, Patria, Famiglia’? L’8 marzo cantavamo slogan all’insegna di ideali universali: eguaglianza, giustizia e libertà. In quel tempo la politica non era mera comunicazione superficiale, né sgambettavano leader narcisisti incistati in partiti di plastica. I partiti storici, guidati da leader e funzionari preparati, erano l’equivalente dei prodotti DOCG: autentici, perché fedeli a una tradizione, e ben radicati nella società civile. Certo, passata la Giornata della donna, riemergeva una frattura: socialisti, socialdemocratici e radicali tenevano per ferma una verità elementare: c’è una distinzione ontologica, di civiltà, fra le dittature e le democrazie. Il partito comunista, benché democratico, era più ambiguo: coltivava un terzomondismo antioccidentale e teneva in vita la mitologia leninista. Ma, riconosciamolo, quello era un terzomondismo di qualità nettamente superiore a quello infimo che circola oggi. Almeno leggevi analisi serie sull’Unità, su Rinascita, su Critica marxista. Tutti i partiti della Prima Repubblica erano sanguigni, vitali, li alimentava il legame simbiotico politica e cultura.

Oggi quello spirito unitario, di comunità è svanito. La Repubblica dei partiti s’è sgretolata. Il che ha generato una mutazione genetica tale per cui oggi si osserva una schizofrenia fra la sinistra ufficiale, di palazzo, e quella spontanea e molecolare, che è incarognita, autoreferenziale ed esibisce tratti anarcoidi — quasi nulla la preparazione filosofica e storica dei suoi militanti. I vecchi extraparlamentari – Lotta Continua, Potere Operaio ecc. – si nutrivano di buone letture, avevano una bussola culturale, per quanto discutibile. L’affermarsi dei social media ha preparato il terreno per le spore di un’ideologia arraffazzonata, che si nutre voracemente di ignoranza, pregiudizi, luoghi comuni e pillole banalizzate su Facebook tratte dai filosofi postmoderni. Un’ideologia, questa, priva di rigore intellettuale eppure dogmatica e cattiva. Il suo collante è l’odio di classe ingigantito, debordante, senza più i paletti del marxismo classico. La cultura marxista ti obbligava a pensare e ad argomentare. I comunisti cresciuti sulle ginocchia di Gramsci mitigavano gli effetti delle sbornie ideologiche: qualche criterio oggettivo per distinguere fra verità e menzogna c’era. Si pensi alla strenua difesa, da parte del PCI e della CGIL, della Repubblica democratica e della nostra Costituzione negli anni bui del terrorismo. Oggi domina la post-verità e quindi le fake news abbondano. La Rivoluzione digitale, che pure ha i suoi lati positivi, ha fatto sì che certi miti falsi e bugiardi – come l’equiparazione fra democrazie e dittature – galleggino in rete, sui social media, come la spazzatura in mare dopo una tempesta. Non c’è più l’intellettuale organico che ti ricorda la differenza fra un crimine di guerra e un genocidio come la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, o l’Holodomor, la morte per fame voluta da Stalin e dai suoi scherani quale punizione per gli ucraini. Tutti parlano a ruota libera, tutti sono esperti di tutto.

Uno dei paradossi del nuovo millennio: la disgregazione delle culture politiche tradizionali ha riportato in auge l’ideologia nella sua variante più tossica, come se la feccia dal fondo dell’anfora traboccasse fino a contaminare il vino. Eppure la Guerra fredda è terminata oltre trent’anni fa! Ci illudevamo che i nuovi tempi avrebbero propiziato il raziocinio, il rispetto per la verità storica, un minimo di coerenza. Neppure l’8 marzo si salva dal naufragio: l’ideologia imperante, filiazione del terzomondismo comunista, è carognesca: ghettizza la donna israeliana, la ritiene corresponsabile – in quanto ebrea – di ciò che fa lo Stato ebraico – il quale, ovviamente, viene rappresentato come l’emblema del male. Così si nega alla radice il senso del femminismo: la donna ebrea israeliana non è vista, semplicemente, come donna. Come mai lo stesso trattamento ingiusto e infame non viene riservato, per esempio, alle donne russe i cui mariti ammirano Putin, alfiere della famiglia tradizionale e icona dei movimenti omofobi? L’antisionismo era una creatura della Guerra Fredda, che aveva diviso il mondo in campi contrapposti – l’Unione sovietica, nemica di Israele da un certo momento in poi, all’inizio aveva riconosciuto lo Stato ebraico: lo fece tempestivamente, il 17 maggio 1948! Oggi l’antisionismo è una foglia di fico che cela un vecchio orco: l’antisemitismo e l’odio antioccidentale. La questione israelo-palestinese è intricata come poche altre. Ma se voi, filo-palestinesi, credete davvero nella parità di genere vorrete riconoscere – almeno l’8 marzo! – che i diritti delle donne, insieme a quelli della comunità LGBT, sono ampiamente tutelati in Israele? La donna israeliana è forse relegata in casa, a partorire figli? Nell’unica democrazia mediorientale non c’è alcuna differenza sostanziale, da un punto di vista giuridico e politico, fra cittadine israeliane, ebree, cristiane, musulmane. Ho conosciuto tante professioniste e dottoresse arabe che avevano studiato nelle ottime università ebraiche, spesso con borse di studio. A Tel Aviv, città gay-friendly, le coppie omosessuali non rischiano il linciaggio. Non è, questa, una forma di emancipazione? Altroché Apartheid! No, questa verità non si può dire. L’ideologia terzomondista rabberciata a uso e consumo degli indignati d’oggi non ce lo consente. Su internet circola la seguente tesi-spazzatura: “Israele enfatizza la sua anima libertaria e democratica al fine di manipolare l’opinione pubblica progressista in Occidente”. Ma che razza di argomentazione è mai questa? È come dire: “tu, Stato democratico – italiano, francese, tedesco – se enfatizzi la pura e semplice verità, ovvero che sei libero, lo fai per ragioni ideologiche torbide, per nascondere le tue magagne. Perché le liberaldemocrazie puntano il dito contro le dittature che opprimono, reprimono, umiliano e uccidono? Ah, quanto è ipocrita l’Occidente che esalta Navalny e perseguita Assange!!” Alla fin della fiera questo discorso demenziale va a parare in una sola direzione: non c’è una differenza sostanziale fra sistemi democratici e regimi tirannici.

In verità, cari terzomondisti alle vongole, siete voi che sfruttate la questione palestinese per demonizzare Israele. Quel che è grave è che lo fate l’8 marzo, festa che appartiene a tutte le donne, incluse le israeliane ebree che sono fra le più emancipate al mondo. E infatti è avvenuto l’impensabile – per noi, del vecchio fronte laico-liberal-socialista: l’indifferenza plateale, rivendicata con orgoglio, agli orrori perpetrati dai terroristi di Hamas contro donne indifese. Stuprate in gruppo, picchiate selvaggiamente, massacrate – perché colpevoli d’essere ebree. Quale sinistra che si presume degna di una gloriosa tradizione può tollerare che si ignori o minimizzi un abuso del genere alla verità? Questo 8 marzo 2024 avrebbe dovuto essere dedicato alle vittime del 7 settembre in Israele. In quella giornata nera un’orgia di violenza sessuale collettiva, amplificata dall’odio razziale e religioso, ha colpito alcune donne ebree con ferocia disumana. La Giornata dell’8 marzo dovrebbe essere ecumenica in tal senso, non già ostaggio di facinorosi e oltranzisti che strumentalizzano per fini ideologici la sofferenza dei palestinesi.

Una ragazza che, povera ingenua, voleva ricordare il femmicidio di massa del 7 ottobre è stata cacciata da una manifestazione femminista in Italia. L’autrice di una biografia su Golda Meir, Elisabetta Fiorito, è stata contestata alla presentazione del libro da alcune sedicenti femministe che lottano contro la violenza di genere – lottano a senso unico, però: Golda Meir non era forse una donna straordinaria che superò con coraggio tante difficoltà, non era forse una delle prime donne al mondo a ricoprire il ruolo di premier, non era forse una leader socialista in ottimi rapporti con il leader storico del socialismo italiano, Pietro Nenni? (Elisabetta Fiorito, “Golda, Firenze e i roghi dei libri”, Shalom, 10-03-2024). Tutto questo, per le femministe filo-palestinesi, non conta assolutamente nulla: Golda Meir non ha più un genere, è per così dire ‘desessualizzata’: diviene l’emblema della vile sionista, un simbolo vivente di negatività. Il giornalista David Parenzo, cui è stato appiccicato lo stigma infamante di “sionista”, come se questa fosse una parolaccia equivalente a “fascista”, è stato contestato duramente alla Sapienza da estremisti che non esito a definire “fascisti rossi”. Si doveva parlare – in un clima di libertà e rispetto reciproco – della parità di genere. Ebbene, una delle studentesse lo ha infamato: “Lei è un razzista…utilizza la questione femminile strumentalizzandola per difendere e giustificare il genocidio in Palestina”.  (Contropiano, Giornale comunista online, 9 marzo). Non lo si ripeterà mai abbastanza: la bieca strumentalizzazione della causa femminile grava unicamente sulla coscienza di coloro che negano i fatti accertati: ovvero che Israele è una delle nazioni democratiche in cui le donne sono maggiormente tutelate e rispettate. Si nega l’evidenza per imbecillità oppure perché si è in balia dell’odio antiebraico. A proposito di ipocrisia: pensate che Michela Murgia, che ha scritto alcune cose di valore, fra cui il bel romanzo Accabadora, parteggiava per Hamas! (Il Giornale, 1 luglio 2021). Questa posizione assurda esemplifica la dissociazione schizofrenica di una certa sinistra: paladina dei diritti femminili ed LGBT in Occidente; tolleranti verso gli abusi contro le donne e i gay nelle società patriarcali esotiche, diverse dalle nostre. Ciò, presumo, in nome di un malinteso concetto di rispetto per la diversità, principio sacrosanto solo se declinato correttamente. Il rispetto per la diversità culturale e religiosa non può giustificare l’obbligo del velo, l’analfabetismo imposto alle ragazze, l’infibulazione, la galera e la tortura per l’adulterio commesso dalla donna!

Ecco in quale vicolo cieco conduce il politicamente corretto: in nome di un relativismo etico cieco e sordo si è intolleranti verso la libertà di pensiero a casa nostra (ai conservatori e ai tradizionalisti viene negato il diritto di parola!), e si tollera invece l’intollerabile a casa altrui. Questa visione è foriera di ingiustizie e menzogne. È proprio nelle democrazie occidentali che le donne sono riuscite ad emanciparsi! Il femminismo radicale non lo riconosce: s’immette, fragoroso come un torrente, nel gran fiume dell’ideologia antioccidentale: noi uomini bianchi, europei, cristiani – figuriamoci gli ebrei sionisti – saremmo la causa di ogni male. “In certi Paesi la donna è umiliata e offesa? Beh, è colpa nostra, degli occidentali, perché noi siamo portatori ammalati del gene imperialista. Hamas, organizzazione di stampo fascista, violenta e massacra donne indifese? Beh, quella è una reazione, per quanto sbagliata, all’oppressione coloniale di Israele e degli USA. Eh sì, il gene fascista/sessista/razzista appartiene unicamente a noi.” Hamas e organizzazioni consimili ne escono linde o con attenuanti.

La strada maestra è una sola: torniamo alle nostre radici! Il femminismo socialista recepiva l’impianto marxista con spirito critico. L’oppressione femminile era esacerbata nelle società capitalistiche primitive, prive di uno Stato sociale – la donna condivideva con l’operaio la condizione di proletaria, ma, essendo soggetta al marito-padrone, era doppiamente sfruttata/oppressa. Le società occidentali contemporanee, grazie al compromesso social-democratico, sono mutate radicalmente, hanno recepito la cultura dei diritti. C’è ancora tanta strada da fare, ma il percorso progressista è iniziato. I socialisti democratici hanno capito per primi che il patriarcato non è consustanziale a una certa forma economico-sociale: è endemico e quindi lo ritrovi un po’ ovunque, ma certamente appare in forme molto attenuate laddove vi sono liberal-democrazie in buona salute. Si rilegga il saggio di Christine Delphy, “The Main Enemy”, che risale al 1970. I socialisti erano consapevoli che anche le mitizzate società post-capitalistiche avrebbero perpetuato schemi sessisti – esempio ne è la società sovietica, in cui l’emancipazione femminile (le donne avevano libero accesso a scuole e università e al lavoro in fabbrica) andava di pari passo con una politica di Stato conservatrice, fondata sulla famiglia tradizionale – la donna sovietica aveva l’obbligo morale di “figliare” nell’interesse del comunismo, che temeva crisi demografiche. Se la donna non è libera di scegliere la maternità, come si può parlare di piena emancipazione? Se questo avveniva in una società oppressiva e illiberale, ma laica, figuriamoci cosa avviene nelle società corrotte dal fondamentalismo religioso.

Perché mai il sacrosanto rispetto per la diversità culturale e religiosa dovrebbe indurmi a giustificare l’oppressione patriarcale a casa altrui? Ma non l’avete ancora capito, care femministe 2.0, che certi regimi sfruttano cinicamente il problema palestinese, e fanno di tutto affinché si incancrenisca, al solo fine di sviare l’attenzione dagli abusi che commettono ogni santo giorno contro le “loro” donne? Non vi siete mai chieste qual è la condizione femminile a Gaza? La donna palestinese gode forse degli stessi diritti dell’uomo palestinese?   In verità, essa subisce due forme di oppressione: quella ad opera di un regime tirannico e quella da parte di uomini che condividono, e quindi perpetuano, un sistema patriarcale e sessista. L’antisionismo a scoppio ritardato ha un solo scopo: alzare una cortina di fumo nerastro, tossico. Sinistra vera, se ci sei batti un colpo: che l’8 marzo torni a essere la Giornata delle donne, tutte quante, incluse quelle che, in Israele, hanno finalmente raggiunto la parità e quindi rappresentano un modello per le loro concittadine arabe.

 

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