di Maria Anna Lerario –
Di “C’è ancora domani”, opera prima di Paola Cortellesi, se n’è già parlato tantissimo. Non farò una recensione cinematografica, del resto, non ne ho le competenze. Ma la bellezza aspra di questo film è talmente penetrante che, dopo averlo visto, non si riesce a ignorare. Le scene risalgono alla mente come flash quotidiani.
Un po’ come vedere gli angoli delle vie di Roma in bianco e nero, mentre giri in scooter, pensando che un tempo – di non poi così tanto tempo fa – su quei sanpietrini sconnessi, una Delia ha camminato veloce. Per correre da un lavoretto all’altro: fare iniezioni, rammendare intimo, riparare ombrelli, lavare e stendere lenzuola costruendo lira su lira un biglietto per un sogno. Un abito da sposa, sublimato, poi nella possibilità di studiare. Un “domani”.
Questo film, per caso, in una di quelle sere in cui di dormire non se ne parla neanche dopo una pila di libricini letti e riletti, l’ho visto con mia figlia. Che ha sette anni.
E si, probabilmente, non era un tipo di film adatto a una bambina. Eppure.
Io e lei sul divano di casa, nella penombra che prelude al sonno, abbiamo visto avvicendarsi gli atti di questa storia semplice e difficile. E abbiamo parlato.
Del balletto della violenza. Delle parole scortesi. Dell’antipatia intestina di un universo maschile che “mamma, meno male che non siamo più in bianco e nero”. (Non lo siamo più?)
Del valore della scuola, della formazione.
Abbiamo parlato di quanto sia prezioso imparare, studiare, conoscere e capire. Abbiamo parlato delle donne, grandi e piccine. Dei ricchi e dei poveri. Dell’ascensore che potevano prendere solo alcuni. Un ascensore vero, rappresentazione plastica di quello sociale.
Del lavoro e del suo valore. “Perché la pagano di meno solo perché è donna?” (già, perché?)
Dei grandi palazzoni e dei cortili pieni di gente che finiva per l’essere un po’ famiglia e di bambini che giocavano tutti insieme. Del “tessuto sociale”.
Abbiamo parlato della determinazione delle donne, del valore della famiglia vera.
Della guerra, della distruzione delle civiltà, degli usi, dei costumi e della loro ricostruzione. Dei soldati e degli americani.
Del 1946. Del voto alle donne, della scoperta stupita che non è stato affatto un fatto scontato, come appariva agli occhi di una bambina del 2024 che ha visto la sua mamma votare sempre su quella tessera elettorale che abita la casa e rispunta spesso nei cassetti ogni volta che cerca un colore o una matita. “Perchè la nasconde nel film?”
Abbiamo parlato di democrazia.
Abbiamo fatto tutto questo, e non è poco, per un film.
Io e la mia bambina del 2024, guardando “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi.
A lei, all’esordio alla regia, al suo film, alle straordinarie attrici che hanno tratteggiato con fierezza un universo femminile articolato e complesso, ma fiero, agli attori che hanno magistralmente caratterizzato il patriarcato, dandogli quella caricatura pungente e facendolo emergere come nota stonata e stupida. A quest’opera prima, nel salotto di una casa qualsiasi, in una sera qualsiasi del 2024, io e la mia bambina abbiamo dato il nostro voto.
C’è ancora domani.
