Destra al potere: Il nemico di sempre è radical, meglio se chic!

di Maurizio Fantoni Minnella

 

Se il massimo paradosso per un comunista fu quello di vivere ed agire in un mondo capitalista, interamente dominato dall’economia di mercato e quindi da una implacabile logica consumistica (nell’accezione pasoliniana), per un comunista di origine borghese, se non perfino aristocratica, toccò un non meno infelice destino, ossia una presunta condanna morale che prese il nome di “radicalismo chic”, definizione ormai vecchia dovuta a uno scrittore americano conservatore Tom Wolfe (1931-2018), fondatore del cosiddetto “New Journalism”, che tuttavia, oggi, sembra acquistare nuovo vigore ma nell’accezione più ottusa e populista, riconducibile ad una semplice frase: “il comunista peggiore è certamente quello che può vantare un’origine da ricco borghese”. Non vi è nulla di più falso se solamente consideriamo l’origine di figure carismatiche del comunismo italiano e internazionale come Enrico Berlinguer (1922-1984), Vladimir Illich Uljanov Lenin (1870-1924), Fidel Castro Ruiz (1926-2016), Ernesto Che Guevara del la Serna (1928-1967), o il sacerdote guerrigliero colombiano Camilo Torres Restrepo (1929-1966), i primi due discendenti dalla piccola aristocrazia terriera mentre gli altri tre appartenenti di fatto ad una classe altoborghese. Ci troviamo quindi, di fronte ad una miopia senza precedenti, considerando l’apporto dato da tali figure (sia pur assai diverse tra loro), allo sviluppo del pensiero comunista nei rispettivi paesi e culture. Tale posizione, generata da un preteso giudizio morale, di solito proveniente da ambienti qualunquisti o di destra (nelle sue diverse declinazioni conservatrici e reazionarie), vedrebbe il borghese comunista innanzitutto come traditore della propria classe sociale e altresì indegno di rappresentare la classe lavoratrice, il proletariato, insomma. Come non cogliere in tale pensiero la sostanziale ipocrisia di chi per vocazione, origine o interesse personale si è sempre schierato con il potere padronale infischiandosene dei reali bisogni della classe operaia, anzi, in molti casi, arrivando perfino a sbeffeggiarla con preteso senso di superiorità. La stessa figura dell’editore milanese marxista miliardario Giangiacomo Feltrinelli (1926-1972), nome di battaglia, Osvaldo, fu resa oggetto anche dopo la sua tragica morte, di una costante campagna denigratoria, non solo per i suoi trascorsi rivoluzionari clandestini nella formazione dei Gap (egli nutriva la convinzione che sarebbe stato imminente un golpe fascista e quindi  era necessario prepararsi per una nuova resistenza armata), ma ancor più per la sua “collocazione di classe”, come cantava Giovanna Marini nella ballata La vivazione, 1972 e per i privilegi che da essa derivavano. Dimentichi del fatto che Feltrinelli contribuì con le proprie forze alla nascita e alla formazione di uno dei più importanti Archivi-Biblioteche di storia del movimento operaio d’Europa, la “Fondazione Feltrinelli” e che, paradossalmente, e con buona pace dei reazionari di tutto il mondo, il secondo complesso editoriale italiano porta il suo nome!

Oggigiorno invece, nel generale cupio dissolvi della politica, ad assumere il triste e scomodo ruolo del radical chic di turno, venendo a mancare grandi figure di riferimento, è il cosiddetto “popolo delle ZTL, vecchi e nuovi residenti dei centri storici rigenerati dalla cosiddetta “gentrificazione”, elettori del partito democratico, ambientalisti e seguaci di Greta Thunberg, colpevoli di difendere gay e immigrati, alberi e animali, ma soprattutto di non voler essere massa, diventati ormai oggetto di scherno e di disprezzo da parte di coloro che, forti della miseria e della pochezza delle proprie idee, si accaniscono contro un fantomatico nemico che ormai non fa paura più a nessuno!. Una simile, vasta schiera di odiatori seriali dovrebbe, paradossalmente, trovare in Marc David Chapman (lo ricordate, il giovane assassino di Lennon!) il loro vate, se non altro per le motivazioni espresse da lui stesso dopo l’omicidio: quel genio parlava di libertà e di giustizia ma viveva da nababbo (non si tratta di una versione letterale ma il senso era più o meno questo). Infatti, chi potrebbe dirsi più radical chic di un John Lennon, l’uomo più famoso di Gesù Cristo insieme agli altri Fab Four, che alternava i pensieri più radicali e libertari con il lusso più ostentato? Eppure chi oggi si sognerebbe mai di offuscare il suo mito con un dettaglio dopotutto così insignificante? Chi mai oserebbe sottomettere il suo indiscutibile talento musicale ad una debolezza comune a ciascun essere umano? Per il giovane Chapman, forse, fu proprio il mito incarnato nell’uomo, al quale un giorno qualunque della sua grigia esistenza, si trovò di fronte, ad agire come detonatore, divenendo lui stesso “l’uomo che uccise John Lennon”!….Nel nostro triste presente nessuno uccide nessuno, ad eccezione che in guerra e la voglia di guerra, oggi, di un nemico da combattere, si fa sempre più forte e allarmante; la morale dell’odio, dunque, ha la medesima valenza in pace come in guerra; la sola differenza sta nella conta dei morti. Ma già tra i vivi si perpetua la morte delle coscienze.

 

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