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Radical-chic e traditori

radical chic

di Edoardo Crisafulli – Stimolante, in questo Blog, la riflessione di Maurizio Fantoni Minnella sul rapporto tutt’altro che lineare o meccanico tra fede politica professata e classe sociale di appartenenza. La destra più becera da sempre demonizza il comunista – e, direi, anche il socialista riformista – di origine borghese e aristocratica. I ‘destrorsi’ si esercitano con profitto nel dileggio ad hominem, l’arte meschina che consiste nell’attaccare la persona piuttosto che la tesi esposta. Raggiungono spesso livelli triviali, di crassa volgarità. Il capo d’accusa che campeggia sul fondale? Siete dei Giuda, in quanto avete tradito il ceto sociale che vi ha partoriti e allevati. È sufficiente, poi, che un militante di sinistra sia benestante (non dico milionario!) perché sia accusato di incoerenza e ipocrisia. Un’accusa, questa, idiota e puerile: da decenni assistiamo alla “proletarizzazione dei ceti medi” preconizzata da Marx, la schiera dei benestanti si assottiglia, sicché alla destra non conviene affidarsi al solo voto borghese o aristocratico (posto che questi termini abbiano ancora senso): in una democrazia si contano le teste, quindi una destra siffatta, elitaria, starebbe all’opposizione permanente. L’estrema destra in particolare questo l’ha capito da un bel pezzo in tutta l’Europa, tant’e che si accredita come autentica forza popolare di contro a una sinistra imborghesita o ‘gentrificata’. E, spesso, ci riesce: come gli esperti ripetono dopo ogni tornata elettorale, gli operai e gli abitanti delle periferie, dei paesini a ca’ di Dio, ormai votano più le formazioni conservatrici che quelle progressiste. Ciò avviene quasi ovunque in Occidente: in Gran Bretagna, in Francia, in Germania ecc. Chi sceglie, in Italia, il PD e i minuscoli partiti identitari che raccolgono socialisti, comunisti nostalgici ecc.? Semplice, no? I radical-chic arroccati nelle zone residenziali, ovvero la genia di coloro che gli inglesi sbeffeggiano come champagne socialists.

I ‘sinistrorsi’ che pasteggiano a champagne e caviale dal terrazzo di un super attico mentre maltrattano la ‘servitù’ danno l’orticaria anche a me. Trovo assurdo però che i conservatori sedicenti cattolici ortodossi facciano sconti (anzi: ponti d’oro!) al re Mida e al re Creso d’oggi, purché militino nelle sue fila. Il pauperismo evangelico (“è più facile che un cammello passi per la cruna di ago che un ricco entri nel regno dei cieli”, Mc, 17-30) vale unicamente per chi si colloca a sinistra? I cattolici ‘destrorsi’, se fossero intellettualmente onesti, dovrebbero infamare senza distinzione tutti i ricconi egoisti che s’inginocchiano in Chiesa e sentenziano con asprezza sul loro prossimo (“perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”, Lc 6, 39-42) o considerano delle nullità i fratelli e le sorelle in Cristo che siano di rango sociale/professionale inferiore al loro. Ma si sa come va il mondo: in certi ambienti pullulano i sepolcri imbiancati. Lì la religione è mera tradizione formale, si sceglie il matrimonio in Chiesa perché più chic e pomposo, e la messa domenicale è una specie di Carnevale religioso che tranquillizza i praticanti in quanto si ripete da secoli, uguale a sé stessa, la preghiera ritualizzata non produce scossoni o rivolgimenti della coscienza forieri di azione politica. È, questo, il cristianesimo edulcorato, privo della sua carica sovversiva, che piace ai potenti e ai privilegiati abbarbicati ai loro privilegi. Geneticamente diverso il Cristo che aveva nell’animo l’Arcivescovo Oscar Romero, che pagò con la vita la sua coraggiosa denuncia della giunta militare fascista nel Salvador.

Detto ciò, confesso che non intendo cassare il termine radical-chic, che ha ragion d’essere se usato con cognizione di causa. L’importante è separare la crusca dalla farina. Un esempio vivente di radical-chic? Eccolo: Michele Santoro, il quale, a mio avviso, merita quel marchio d’infamia per via della sua posizione comoda e opportunista quale ‘libero intellettuale’. Oltre a vivere nel lusso, l’ex star televisiva è al servizio di sé stessa, essendo le sue filippiche o esternazioni svincolate dall’impegno politico serio e faticoso, quello che si snoda lontano dalla luce dei riflettori, nei partiti e nei sindacati. Insomma, Santoro — al pari di figure come Diego Fusaro e Carlo Rovelli – è tutt’altro che un militante disposto a sacrificarsi, è un narcisista, nonché un personaggio della politica spettacolo, da lui avversata quand’era un tribuno televisivo. Parliamo di un carrierista brillante, che coltiva e liscia il pelo al suo pubblico di fan, salvo voltargli le spalle quando gli conviene, e infatti a un certo punto lasciò la RAI (che pure lo pagava bene) per abbeverarsi alla fonte berlusconiana (Moby Dick, fine anni ’90). Poi tornò sui suoi passi. Nulla di male, per carità, se… non facesse, appunto, il tribuno saccente della sinistra salottiera e televisiva.

Propongo i seguenti criteri per discriminare fra il radical-chic e l’utopista/militante autentico e sincero: l’idealismo disinteressato; la coerenza fra idee professate e stile di vita; l’inserimento strutturale, organico in una organizzazione politica e sindacale di sinistra. Berlinguer, Lenin, Fidel Castro e Che Guevara – rientrano a pennello nella categoria di chi ha dedicato la propria vita a una visione utopistica. Non c’è dubbio che quegli uomini ebbero un notevole spessore intellettuale e incarnarono l’ideale marxista, che si fonda sulla coerenza fra teoria filosofica e prassi politica. Su questo Fantoni Minnella ha ragione. Lenin non era un borghese in cerca di notorietà e successo materiale, diversamente dai vari Santoro e Fusaro, critici solo a parole del sistema capitalistico di cui beneficiano. Un solo punto di dissenso, caro Maurizio: fra gli utopisti visionari vi sono stati criminali tutti d’un pezzo. A voler essere eufemistici, i personaggi che hai citato erano ben poco raccomandabili, ad eccezione di Berlinguer, un utopista democratico, il quale mai si macchiò di crimini, né ne teorizzò la necessità. Confesso che, quando giudico un leader politico, faccio molta fatica a prescindere dal tipo di teoria che adotta e dai risultati che consegue, talora con lucida (e fanatica) coerenza, sul campo — Lenin teorizzò e cercò di attuare una bonifica o, più efficacemente, una macelleria sociale con marcati tratti criminali, che il suo degno successore Stalin proseguì con esiti eccellenti per chi crede nelle rivoluzioni violente. Ma questa considerazione, qui, è secondaria.

Torniamo al rapporto fra ideale politico e condizione economico-sociale. Il più grande pensatore della sinistra, Karl Marx, non apparteneva forse alla borghesia benestante? Rinunciò a una vita agiata per gli ideali in cui credeva; lo animava la passione per la filosofia politica progressista, agognava l’emancipazione del proletariato. Fra i leader politici che tradirono la loro classe sociale – ragion per cui si attirarono addosso un odio feroce – merita una menzione speciale il più grande antifascista italiano: Giacomo Matteotti. I fascisti si accanirono contro di lui (lo sbeffeggiavano così: il “socialista milionario”, il “rivoluzionario impellicciato”), perché era figlio di proprietari terrieri e scelse il socialismo, i contadini, gli operai. Matteotti, detto per inciso, era al tempo stesso antifascista e anticomunista. Ma su questo tornerò in futuro. Qui ed ora mi preme piuttosto rispondere a un interrogativo: per quale motivo un borghese tradisce la propria classe sociale, che gli garantisce benessere e privilegi? Ce l’ha spiegato Pier Paolo Pasolini: siamo imbevuti della predicazione cristiana e giudaica. Nella quale brillano lezioni spirituali che ci spingono a superare il più potente impulso nell’animo umano: l’interesse egoistico. Donde nasce l’idea socialista, se non dalla massima biblica per cui ogni essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio? Le radici giudaiche e cristiane di Marx (il nuovo Messia, il paradiso terrestre, l’eguaglianza totale, la formazione dell’Uomo Nuovo ecc.) sono state ampiamente dibattute. Detto per inciso: ci imbattiamo in un bel paradosso per un marxista: l’influsso dei Vangeli – linfa vitale delle nostre società per duemila anni – mette in crisi la sicumera del materialismo storico. Giacché è evidente che l’ideale cristiano è eterno, ha una forza autonoma dirompente, capace di annullare la nostra appartenenza a questo o quel gruppo sociale e i condizionamenti storici, contingenti. Vi invito dunque a rileggere un testo chiave di Pasolini, Marxismo e cristianesimo.

Vi ricordo inoltre che quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della proiezione del “Vangelo secondo Matteo’, opera stupenda su cui Maurizio può esprimersi con molta più cognizione di causa rispetto a me, che sono un profano di critica cinematografica. Vorrei solo ricordare che – in quel lontano 1964 – i neofascisti, i missini e i benpensanti borghesi della peggior risma contestarono con virulenza e volgarità il libero pensatore e poeta-profeta Pasolini innamorato del Cristo umile e sofferente. Coltivavano un’idea distorta e distopica del cristianesimo: ai loro occhi dava scandalo l’omosessuale comunista borghese (ammiratore di Pietro Nenni oltretutto!) che portava alla luce il sostrato rivoluzionario dei Vangeli. Reputavano invece politicamente accettabile il cristiano tradizionalista, eterosessuale e conservatore, ricco sfondo e classista, agognante un potere tirannico o dittatoriale. Direi che fra tutti i tradimenti quello dei neofascisti sedicenti cattolici è il peggiore: rinnega il cuore pulsante del messaggio cristiano. Sì, è vero, il poeta-profeta Pasolini si allontanò dalla sua classe sociale. O, meglio, rinnegò le aspirazioni consumistiche, piccolo borghesi che affascinavano anche gli operai e i contadini: le sirene del boom economico perenne, del progresso illimitato a qualunque costo, umano e ambientale, erano nemiche irriducibili del suo credo di fratellanza universale. Nella visione pasoliniana, intrisa di spiritualità, Marx e Cristo vengono accoppiati nella lotta permanente per la liberazione dal giogo materialista, che alimenta l’egoismo, la disuguaglianza, l’oppressione, lo sfruttamento, le guerre. Non c’è dubbio sul fatto che Pasolini recepiva lo spirito evangelico – la carità, l’amore per il prossimo, la dedizione alle cose dello spirito – ben di più di chi gridava lo slogan ‘Dio, Patria Famiglia’ avendo come stella polare la divinità Mammona esecrata dai profeti ebrei e da Gesù Cristo (Mt 6,24 e Lc 16, 13).

 

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