di Luca Giammarco –
Di questi tempi, non sarà inutile né ozioso tracciare una storia del nostro Sistema Sanitario. Soprattutto per capire non solo com’è stato e com’è, ma come potrebbe essere nel futuro.
È bene ricordare che le prime forme di assistenza sanitaria organizzata in Italia risalgono al Medioevo, quando le corporazioni religiose e le confraternite fornivano cure agli ammalati. Tuttavia, il vero sviluppo del sistema sanitario nazionale italiano inizia nel XIX secolo quando, durante il Regno di Sardegna, furono introdotte alcune misure di igiene pubblica e assistenza sanitaria.
Tuttavia una vera e propria riforma sanitaria non arrivò fino all’unità d’Italia nel 1861.
L’Unità d’Italia portò alla creazione di un sistema sanitario nazionale più organizzato, con la fondazione di ospedali pubblici e l’istituzione di leggi per il controllo delle malattie infettive.
Durante il XX secolo, l’Italia ha affrontato molte sfide nel campo della sanità pubblica, tra cui la lotta contro le malattie infettive come la tubercolosi e il colera. Nel 1978, fu introdotta la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che ha creato un sistema sanitario universale e gratuito per tutti i cittadini italiani. Il SSN è stato fondato sui principi di universalità, solidarietà, equità e partecipazione, garantendo a tutti l’accesso alle cure mediche.
Negli anni successivi, il SSN è stato soggetto a diverse riforme per affrontare le sfide emergenti, come l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche.
Nel 1992 fu introdotta la legge “Bassanini”, che riformò l’organizzazione e la gestione del SSN, dando maggiore autonomia alle regioni. In particolare, vennero apportate importanti modifiche all’organizzazione e alla gestione del SSN; come, ad esempio, l’introduzione del concetto di “federalismo sanitario”, trasferendo maggiori responsabilità alle regioni per la gestione e l’erogazione dei servizi sanitari. Inoltre, fu istituito il Servizio Sanitario Nazionale come un sistema pubblico e integrato, e venne anche introdotta la figura del medico di medicina generale come punto di riferimento per i pazienti.
Nel 1999 ci fu una riforma meglio conosciuta come “Riforma del Titolo V della Costituzione”, legge che ulteriormente rafforzò il federalismo sanitario, concedendo alle regioni maggiori poteri e responsabilità nella pianificazione e nell’erogazione dei servizi sanitari. Venne anche introdotto il concetto di “Piano sanitario nazionale” per garantire l’uniformità nell’accesso alle cure in tutto il paese.
Con la riforma del 2001 si focalizzò l’attenzione sulla riorganizzazione dei servizi sanitari per migliorare l’efficienza e la qualità delle cure. Dal “Piano sanitario nazionale” si passò al “Piano sanitario regionale” per la programmazione e la gestione dei servizi a livello regionale. Inoltre, venne promossa la decentralizzazione dei servizi e l’integrazione tra cure primarie e ospedaliere.
Nel 2014, con la legge 190, si cercò di razionalizzare il sistema sanitario, promuovendo la riduzione dei costi e l’efficienza operativa. Vennero introdotte misure per incentivare la gestione integrata dei servizi sanitari e ci fu la promozione per l’uso di strumenti e tecnologie al fine di migliorare la qualità delle cure.
Quanto accaduto durante la pandemia da Covid-19 è noto.
Che fare dunque da qui ai prossimi trent’anni?
Ecco la domanda.
Qualche piccola proposta l’avrei e in tutta la mia modestia mi permetto di elencarle senza andare troppo nello specifico.
Utilizzare tecnologie digitali e sistemi informativi avanzati per migliorare la gestione delle informazioni sanitarie, la telemedicina, la prenotazione online delle visite e la gestione delle liste d’attesa.
Implementare sistemi di intelligenza artificiale per ottimizzare la diagnosi, il trattamento e la gestione delle malattie.
Investire maggiormente nella prevenzione delle malattie attraverso programmi di screening, campagne di sensibilizzazione e, soprattutto, promozione dello stile di vita sano.
Sostenere la ricerca sulla prevenzione delle malattie croniche e la promozione della salute a livello comunitario.
Potenziare ulteriormente il ruolo dei medici di medicina generale e degli infermieri nelle cure primarie, migliorando il coordinamento tra i vari livelli di assistenza.
Favorire l’erogazione di cure domiciliari per pazienti anziani e cronici, riducendo così la pressione sugli ospedali e migliorando la qualità della vita dei pazienti.
Ottimizzare l’utilizzo delle risorse, compresi il personale e le strutture sanitarie, attraverso una migliore pianificazione e gestione.
Ridurre la burocrazia e semplificare i processi amministrativi per consentire ai professionisti sanitari di concentrarsi maggiormente sulla cura dei pazienti.
Migliorare le condizioni di lavoro e aumentare il supporto psicologico per ridurre il burnout tra medici, infermieri e altri operatori sanitari.
Investire nella formazione continua del personale sanitario per garantire che siano aggiornati sulle migliori pratiche cliniche e gestionali.
Collaborare con il settore privato per sfruttare competenze, risorse e tecnologie aggiuntive, ad esempio attraverso la gestione di servizi non urgenti o la realizzazione di infrastrutture sanitarie innovative.
Riformare il finanziamento del SSN per garantire una distribuzione equa e sostenibile delle risorse, considerando modelli di finanziamento basati sulle prestazioni e incentivi per l’efficienza.
Combattere l’evasione fiscale e investire in politiche di prevenzione delle malattie per ridurre i costi a lungo termine del sistema.
Queste sono solo alcune delle possibili linee guida.
Saranno fattibili?
Certo è che le riforme passate hanno dimostrato che il SSN italiano è in grado di adattarsi e migliorare nel tempo.
D’altro canto, la popolazione italiana è sempre più esigente riguardo alla qualità e all’accessibilità delle cure sanitarie. Ciò vuol dire che la pressione della società civile può spingere i decisori politici a intraprendere azioni per migliorare il sistema.
Tuttavia, è importante notare che ci sono anche ostacoli da superare, come la resistenza al cambiamento, la complessità del sistema sanitario e le sfide economiche. Inoltre, l’efficacia delle riforme dipenderà dalla capacità di coinvolgere tutte le parti interessate e di garantire un approccio equo e sostenibile.
In sintesi, se l’Italia riesce a navigare con successo attraverso questi ostacoli e a mantenere l’attenzione sul miglioramento continuo del SSN, ci sono buone speranze che le riforme possano portare a un sistema sanitario ancora più efficiente e adatto alle esigenze della popolazione nei prossimi trent’anni.

