“Magistrate finalmente”. Le prime otto giudici d’Italia raccontate da Eliana Di Caro.

-di Maria Anna Lerario

Finalmente.

Il senso del libro “Magistrate finalmente. Le prime giudici d’Italia” di Eliana Di Caro, giornalista del «Sole24ore», esperta sui temi dei diritti delle donne e delle pari opportunità, è tutto in questo potente avverbio, che da solo riflette l’essenza di un faticosissimo percorso di emancipazione – non ancora del tutto compiuto – che ha aperto le porte della magistratura alle donne.

Potremmo forse stupircene, ora che ben il 57% dei magistrati italiani è donna, ma solo poche decine di anni fa, per una donna era impensabile poter indossare una toga. E se tantissime, inconsapevolmente abbattute da retaggi culturali ancora di stampo fascista e fortemente patriarcali, non aspiravano né ambivano a professioni che si discostassero dall’ “universo femminile” declinato dalla società dell’epoca, tante altre subivano la frustrazione di vedersi derubate di sogni e ambizioni.

Nel Paese, però, reduce dall’euforia della ricostruzione e gravido di speranze per il futuro, germogliavano i semi lanciati pur con difficoltà dalle madri Costituenti.

21 donne che si batterono tenacemente per riuscire a scardinare il pregiudizio di genere, sancendo con l’art.3 della Costituzione un diritto di grande portata culturalmente rivoluzionaria: quello dell’uguaglianza «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Persero, però, la battaglia sull’accesso delle donne nella magistratura: le resistenze bigotte ebbero la meglio, col supporto di motivazioni che ora risuonano come illogiche e irrazionali ma che all’epoca erano condivise anche da menti illuminate, come gli aspetti biologici, la propensione al sentimentalismo, la maternità.

Il cammino fu lungo e tortuoso, ma, finalmente!, il 9 febbraio 1963, con la legge 66, le porte della magistratura furono aperte anche alle donne.

Il primo concorso fu bandito a maggio di quell’anno. Risultarono idonei in 186. Di questi, 8 erano donne. Si tratta di Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Gabriella Luccioli.

Le pagine del libro di Di Caro scorrono velocemente, tra i ritratti di queste pioniere temerarie. Magistrate che hanno affrontato per prime i pregiudizi, la reticenza, l’ignoranza, la sfiducia di un mondo chiaramente imbrigliato in un retaggio culturale duro da scalfire e che ha portato queste otto magistrate a confrontarsi quotidianamente – e anche per lungo tempo! –  con sgambetti, diffidenze e imbarazzi per un pancione.

Tuttavia, le pagine dedicate a Giulia De Marco ci restituiscono, in tal senso, una chiave di lettura interessante per meglio comprendere il periodo storico, ma anche per indagare le origini radicate di una disparità di genere che persiste tuttora.

Non discriminazione, ma “incultura”:

«[…] noi donne eravamo una novità, io ero lì da un mese, capisco che potessero essere un po’ disorientati: l’avvocato in questione era anziano, lavorava da quarant’anni, noi avevamo 25 anni e l’aspetto di ragazzine. Alcuni atteggiamenti bisognava capirli senza viverli come una deminutio, questa è stata la mia regola. Parlare di discriminazione senza capire l’incultura che c’era stata fino a quel momento è sbagliato […]»

Di Caro racconta con dovizia di particolari le biografie delle otto prime magistrate italiane, ricostruendo attraverso documenti e testimonianze i momenti più salienti delle loro vite professionali e guidando il lettore in un’Italia in mutamento, senza mai tralasciare la componente più intima e personale, la dimensione più autentica, materna e sentimentale. Una marcia in più, nel loro essere donne-magistrate a tutto tondo, senza compromessi.

Un elemento che traspare anche dal racconto dei grandi “casi giudiziari” in cui ciascuna di loro è stata protagonista (alcuni di questi hanno segnato l’Italia, come il caso Englaro, il delitto di Novi Ligure, il caso del licenziamento collettivo Fiat nel pieno del terrorismo rosso, la camorra napoletana, altri hanno affrontato le debolezze della società, dalla tossicodipendenza, all’abbandono minorile, al furto per povertà), che riflettono un percorso in cui l’esperienza individuale di donna-magistrato si specchia nel cammino collettivo di crescita del paese.

Un dialogo complesso sì ma che va al di là delle differenze di genere, costruito su una solida base fatta di competenza, sensibilità, dedizione, comprensione.

L’ingresso delle donne nella magistratura è stato, indubbiamente, un riflesso dei cambiamenti sociali e culturali che hanno caratterizzato l’Italia del secondo dopoguerra. Questi cambiamenti, sebbene lenti e spesso contrastati, hanno portato a una graduale apertura delle istituzioni e della società verso una maggiore inclusività.

La presenza delle donne nella magistratura ha avuto un impatto significativo non solo sulle decisioni giudiziarie, ma anche sulla percezione pubblica del ruolo delle donne nella società. Le prime magistrate hanno dimostrato che le donne possono eccellere in ambiti tradizionalmente dominati dagli uomini, facendo spallucce a stereotipi e pregiudizi. Questo ha contribuito a ridefinire il concetto di autorità e competenza, aprendo la strada a nuove generazioni di donne in cerca di realizzazione professionale e personale. Sono tante le giovani magistrate che si ispirano proprio all’esempio di Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Gabriella Luccioli, raccogliendone il testimone e l’eredità intellettuale.

Grazie al lavoro di documentazione di Eliana Di Caro, le storie e le esperienze delle prime otto magistrate italiane continueranno a ispirare e motivare chiunque creda in una società più giusta e inclusiva.

Tanto più che, nonostante i grandi progressi, in termini numerici e di esperienza, resta un vulnus nella magistratura attuale che riguarda  le posizioni apicali. La prima Presidente della Corte Suprema di Cassazione italiana è Margherita Cassano. Ed è stata nominata solo nel 2023. Dopo sessanta lunghi anni dalla legge 66 del 1963.

E anche qui… Finalmente.

 

*Finalmente: Avverbio che introduce un’azione attesa a lungo o con sforzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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