di Maria Anna Lerario
Il venerdì nero di Microsoft è stato un segnale importante e, insieme, un grande test.
È. bastato un attimo e tutte le attività principali, dai viaggi, alle operazioni / transizioni bancarie, ai sistemi sanitari, ai media DI TUTTO IL MONDO, sono andate in crash.
Un unico, banale se vogliamo, errore informatico è riuscito a bloccare una quantità enorme di servizi essenziali, senza confini di sorta. Dagli Stati Uniti all’India, tanto per tirare una linea immaginaria sul mappamondo.
Un blackout che ha dimostrato con schiettezza la potenza enorme che ha esercitato ed esercita tuttora il “sistema” digitale nelle nostre vite. La nostra è una società digitale e lo sarà sempre di più con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale.
La produzione, il reddito, le relazioni interpersonali, gli scambi commerciali, la comunicazione, la salute. Tutto verrà investito dall’Intelligenza Artificiale, cambierà volto e dipenderà sempre più dalle infrastrutture informatiche. Infrastrutture che sono gestite, su scala globale, da pochi attori. Quelli che generalmente usiamo definire Big Tech.
Un potere di cui non ci rendiamo conto ma che è pervasivo e totalitarista.
Un potere che è anche un’arma.
Le big tech controllano le nostre vite e, tempo addietro, quando ancora non avevamo capito che tipo di colossi sarebbero diventati i vari Google, Microsoft, Apple, Meta, Amazon e così via, siamo stati ben lieti di consegnare loro le chiavi della nostra esistenza. Non solo personale (si pensi alla quantità di dati che regaliamo ogni istante attraverso device di ogni tipo e genere) ma anche collettivo. Globale.
Sebbene l’impegno per tenere al sicuro i sistemi sia elevatissimo, le macchine, perché di questo si tratta, sono suscettibili di malfunzionamenti. E l’interazione uomo – macchina è suscettibile di errore.
Già negli anni ’50, il padre della cybernetica, Norber Wiener, nello strutture le sue teorie sull’interazione uomo macchina, partiva dall’assunto, oggi attuale più che mai, che «La società può essere compresa solo attraverso uno studio dei messaggi e delle strutture di comunicazione di cui dispone; e, nello sviluppo futuro di questi messaggi e di queste strutture di comunicazione, i messaggi tra l’uomo e le macchine, tra le macchine e l’uomo, e tra macchina e macchina sono destinati a giocare un ruolo sempre più crescente…»
Un monito e una guida.
Le macchine e gli uomini comunicheranno in modo sempre più reale e la distanza tra realtà e virtualità andrà sempre più assottigliandosi. Sarà bene evitare che il potere di bloccare il mondo intero sia concentrato nelle mani di pochi.
Il pericolo, per quanto concreto, non è solo economico, ma anche etico e democratico.
Se a gestire l’infrastruttura sono poche entità, un oligopolio poco incline alla condivisione, in cui si concentra un enorme potere, le conseguenze di errori (o, non per fare i drammatici, scelte) si aggravano. Laddove, invece, esiste un sistema condiviso e partecipato da una moltitudine di attori, le alternative si moltiplicano e le conseguenze si appiattiscono.
Se la realtà verso cui stiamo andando sarà sempre più caratterizzata da una pervasiva interazione con le macchine, non si può non tenere conto di questa fragilità “ontologica” che risiede nell’attuale sistema governato di fatto da colossi che si contano sulle dita di una mano. Ed ecco che un banale errore, come quello di venerdì 19 luglio 2024, ci espone al rischio non di un blackout passeggero, ma di un disastro globale.
Cosa accadrebbe se la rete – globale – andasse in tilt non per poche ore ma per interi giorni o settimane?
È ora di domandarselo.
*Lo scorso venerdì 19 luglio 2024, si è verificato un blackout informatico che ha coinvolto i sistemi operativi Microsoft a causa di un bug nell’aggiornamento dell’antivirus della società americana CrowdStrike. Il blackout ha provocato la cancellazione di 5.200 voli, disservizi bancari e finanziari, malfunzionamenti nei sistemi sanitari. In tutto il mondo.
