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La ferocia – recensione teatrale

-di RITA BORELLI-

 

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo,” scriveva Lev Tolstoj in uno dei più celebri incipit della letteratura. Questa massima trova conferma nella trasposizione teatrale di La ferocia, tratto dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia, in scena al Teatro Argentina dal 1 al 4 ottobre in occasione del Romaeuropa Festival. Lo spettacolo, diretto e interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà, con l’adattamento di Linda Dalisi, vede come attori: Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Marco Morellini e Andrea Volpetti.

La messa in scena, cupa e inquietante, offre un ritratto familiare che, pur radicato nella storia dei protagonisti, si espande verso una riflessione universale sul declino morale e sociale del nostro tempo. La famiglia Salvemini diventa un microcosmo di pulsioni primordiali, dove la lotta per la sopravvivenza sovrasta la razionalità e la dissoluzione morale riflette un più ampio crollo collettivo. La narrazione evolve da un apparente dramma domestico a un’analisi spietata delle dinamiche umane. Ogni interazione tra i personaggi si trasforma in una battaglia per la vita, dissolvendo il confine tra ragione e istinto. Così, ciò che inizialmente sembra un semplice dramma si rivela un pretesto per esplorare il degrado morale e sociale che pervade la nostra contemporaneità.

La vicenda di La ferocia, ambientata nella Puglia contemporanea, ruota attorno al declino della famiglia Salvemini, innescato dal ritrovamento del corpo di Clara, figlia del patriarca Vittorio. Sebbene la sua morte venga ufficialmente classificata come suicidio, il fratellastro Michele, un uomo tormentato e solitario, non accetta questa versione e avvia un’indagine personale che porterà alla luce segreti torbidi, sia nei legami familiari che nelle dinamiche della criminalità organizzata. Via via che il mistero si svela, appare una visione inquietante: la ferocia non è solo violenza fisica, ma una forza corrosiva che pervade i rapporti familiari, l’ordine sociale e, in ultima istanza, la società stessa. La corruzione può diventare ferocia.

Il dramma familiare assume quindi i toni di una parabola sociale, esplorando il rapporto tra colpa e decadenza e mostrandoci come i peccati dei padri ricadano inesorabilmente sui destini dei figli, e rivelandoci il ciclo inarrestabile di declino che ci riconduce alle radici più primitive dell’essere umano. La drammaturgia cerca di coniugare la potenza emotiva della tragedia greca con una critica spietata della realtà contemporanea, creando un’atmosfera sospesa, in cui il tempo appare distorto e il pubblico è immerso nella sensazione di un inesorabile declino.

Interessante è il parallelismo etologico evocato nelle note di regia, che ritrae la società come una giungla di predatori e prede, dove l’inazione equivale a una resa. La ferocia si annida negli angoli più oscuri, tra ciò che non viene detto e i segreti accuratamente taciuti. Tuttavia, emerge una certa dissonanza tra le ambizioni tematiche e la resa scenica: la regia fatica, infatti, ad esprimere appieno la complessità emotiva del testo non riuscendo a sfruttare pienamente il potenziale della storia. Di conseguenza, anche gli attori, pur dimostrando bravura, sembrano rimanere intrappolati da una direzione che non riesce a far emergere né le sfumature psicologiche dei personaggi né a dare corpo alle tensioni latenti, essenziali per una narrazione densa di significato.

In conclusione, ciò che emerge è un ritratto di una società in decadenza, dove la ferocia si manifesta non solo in azioni tangibili, ma anche nei silenzi e nelle omissioni di coloro che avrebbero potuto cambiare le sorti degli eventi. La ferocia, dunque, si configura come una critica incisiva alla frattura tra aspirazioni e realtà, e dunque un monito sull’inevitabile declino di un mondo che, nel rifiuto di affrontare le proprie ombre, si avvia verso la propria autodistruzione. Il tutto, però, al di là delle buone intenzione, è stato realizzato in modo statico, dove la parola ha soppiantato l’azione scenica e, infine, la ferocia ha un po’ ceduto il passo alla noia.

 

 

FONDAZIONE TEATRO DI ROMA
TEATRO ARGENTINA

1 – 4 ottobre 2024
Romaeuropa Festival 2024

LA FEROCIA

dal romanzo di Nicola Lagioia
ideazione VicoQuartoMazzini

regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà

adattamento Linda Dalisi
con Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella,
Francesca Mazza, Marco Morellini, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti
scene Daniele Spanò
luci Giulia Pastore
musiche e sound designer Pino Basile
costumi Lilian Indraccolo
foto Francesco Capitani
Produzione Scarti – Centro di Produzione teatrale d’Innovazione, Elsinor,
LAC Lugano Arte e Cultura, Romaeuropa Festival, Teatri di Bari, Teatro Nazionale

 

 

 

 

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