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Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta – recensione teatrale

-di RITA BORELLI-

 

Al Teatro India va in scena Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta, di Sandro Bonvissuto e interpretato da Valerio Aprea. Questa lettura, che si concentra su un semplice episodio di vita quotidiana – un padre che insegna al figlio ad andare in bicicletta – si propone come un’esplorazione dei riti di passaggio e della spinta verso l’autonomia che ogni infanzia conosce. Tuttavia, pur con l’intento dichiarato di evocare una riflessione universale, il testo di Bonvissuto appare esile e si limita a sfiorare i temi senza mai approfondirli, disperdendo intuizioni che, anziché affondare nel cuore, si dissolvono in un ritmo inizialmente lento e poco incisivo. Se sulla carta l’intenzione era di scandagliare l’intimo rapporto padre-figlio come simbolo di passaggio all’autonomia, il testo non decolla, rimanendo ancorato a immagini prevedibili e riflessioni appena abbozzate.

La bicicletta, che si offre come metafora dell’equilibrio e della capacità di rialzarsi dopo le cadute, avrebbe potuto emergere come un’immagine potente, ma nella messa in scena appare più come un espediente invece che come un vero catalizzatore emotivo. La narrazione, benché sobria, segue un andamento monocorde, alternando riflessioni generiche che non riescono a generare sorpresa o empatia. L’intenzione di trasformare questo evento ordinario in un viaggio universale è chiara, ma il testo stesso, nella sua semplicità portata all’ovvietà, sembra incapace di sostenere il peso di tali ambizioni.

La storia ruota intorno a un momento quotidiano e insieme cruciale: un bambino di cinque anni, spinto dal confronto con due coetanei già capaci di pedalare, chiede al padre di insegnargli ad andare in bicicletta. Un gesto semplice, familiare, che intenderebbe diventare il terreno per una lezione sulla ricerca di autonomia, un primo passo verso la separazione dai genitori. Tuttavia, la riflessione, invece di ampliarsi, si frammenta in una serie di osservazioni che, oltre a non creare partecipazione, rallentano il ritmo in modo estenuante.

Valerio Aprea, con una recitazione misurata, riesce a dare al testo quell’energia di cui manca. Evita con cura di scivolare nel sentimentalismo, trasmettendo ironia, senza forzature, nel racconto del rapporto familiare. La sua interpretazione si rivela uno degli elementi più solidi dello spettacolo, insieme alla leggerezza che diviene essenziale nel dare forza alle poche note profonde presenti nel testo.

Anche la scenografia è vincolata a un minimalismo che, invece di amplificare il contenuto, lo restringe ulteriormente. E la bicicletta, più che un simbolo autentico di crescita, finisce per restare un accessorio scenico. Così, lo spettacolo non riesce a superare la superficie delle cose, non raggiungendo quelle verità nascoste dietro la semplicità apparente.

In conclusione, Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta si configura più come un affettuoso tentativo di esplorare i legami familiari piuttosto che come un autentico racconto di formazione. La crescita, rappresentata simbolicamente dalla bicicletta, appare come una metafora priva di forza emotiva. A sigillo della sua interpretazione, Aprea chiude il reading pedalando sul palco: un gesto semplice che sembra voler incarnare il senso stesso di autonomia e ricerca di un equilibrio, temi centrali dello spettacolo. Eppure, come gran parte della rappresentazione, anche questo gesto è apparso sospeso su un vuoto di senso e poco incisivo. Con un testo così esile, che si potrebbe riassumere come una promessa tradita per intero, la presenza calibrata di Aprea è stato il solo elemento in grado di dare sostanza a un contenuto che, pur aspirando all’autenticità, è risultato prevedibile e pieno di stereotipi.

 

FONDAZIONE TEATRO DI ROMA

TEATRO INDIA

Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta

 15 – 27 ottobre 2024

di Sandro Bonvissuto

con Valerio Aprea

 

 

 

 

 

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