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L’Età dei Manifesti tra politica, cultura e nuovo umanesimo

di Maurizio Fantoni Minnella –

 

  1. Un fantasma si aggira per l’Europa, quello del comunismo…Così iniziava quello che fu certamente il testo politico più famoso del XIX secolo, ossia il “Il Manifesto del Partito Comunista”, 1848, anello di congiunzione tra il pensiero dei due autori Karl Marx e Friedrich Engels e le masse operaie non soltanto tedesche, ma quelle degli altri paesi industrializzati. Su di esso è stato scritto molto e da differenti angolazioni, perfino quella ultraliberista, a mo’ di prefazione all’edizione pubblicata nei “classici del pensiero” per i tipi di Silvio Berlusconi editore!. Secondo Cosimo Cerardi, comunista e studioso del marxismo-leninismo: il Manifesto comunista è andato oltre lo stadio degli elogi. Su ciò concordano tutti gli studiosi sociali seri: è uno dei documenti politici più significativi del 1800. Il paragone regge, anche per l’influenza esercitata, con la Dichiarazione d’Indipendenza Americana, 1776 e con la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino, 1789. Il suo carattere è straordinario, non soltanto per la forza evocativa con cui è scritto, ma anche per la portata immensa racchiusa nella sua intensa brevità, anche in termini di filosofia della storia, analisi critica delle dottrine socialiste e appello appassionato all’azione rivoluzionaria…(1)

Da quel momento in avanti, l’idea di un manifesto che rappresentasse la sintesi perfetta di un pensiero politico, di un intero movimento o di un programma artistico, cominciò ad aggirarsi per l’Europa, generando un discreto numero di “Manifesti” di quelle che conosciamo come le principali avanguardie storiche nell’ambito delle arti figurative, a partire dal “Primo Manifesto Futurista” di Filippo Tommaso Marinetti del 1903.

I termini di manifesto e di avanguardia, presentano un nodo comune nel porsi come teoria – esperienza – azione rispetto al passato, alla tradizione. L’idea stessa di avanguardia, in un’epoca di populismo radicato e globale, quindi di rifiuto delle “vecchie ideologie massimaliste”, verrebbe, per così dire, abbandonato se non proprio avversato, a favore di un richiamo, ancor meglio, di un ripiego verso una presunta tradizione, che vuol dire repertorio, classicità e infine più semplicemente mainstream. Lo abbiamo visto, ad esempio, in ambito musicale dove il rifiuto delle avanguardie storiche e delle neo-avanguardie è stato piuttosto netto, frutto malato di una sorta di isterismo populista. E’ sufficiente leggere questo frammento estratto da un volume di Michel Faber di recente pubblicazione: La risonanza simbolica è chiara: l’arte d’avanguardia ci travolgerà se le lasceremo anche la minima occasione. L’arte di vedute ristrette che si rifà a un’era passata è un bastione contro i pericolosi nuovi arrivati. I suoni familiari che la nostra tribù approva sono Musica. Quello che non è Musica è Rumore. Non vogliamo che questi rumorosi esploratori vengano qui, facendoci sprecare il nostro tempo e violando le nostre cellule celebrali. (2)

Non è un caso che il quotidiano Il Manifesto, fondato nel 1971 da Lucio Magri (1932-2011) e Rossana Rossanda (1924-2020), già espulsi dal grande partito di massa, prendendo il nome dall’illustre Manifesto marx-engelsiano, si collocasse in una posizione di netta avanguardia politica e culturale rispetto all’ortodossia dei compagni – e degli ex compagni – del Pci. Oggi, miracolosamente quel giornale, (nato inizialmente come rivista mensile), sopravvive mantenendo la dicitura di “quotidiano comunista”!

Dalla Boemia del tardo impero Austro-ungarico, e più precisamente dallo scrittore Jaroslav Hasek (1883-1923), noto nelle lettere mondiali per il suo “buon soldato Sveijk”, che fu per la lingua ceca ciò che fu Franz Kafka (1883-1924) per quella tedesca, ci giunge un curioso Manifesto del Partito del Progresso Moderato nei Limiti della Legge, 1911. Nella sua stesura Hasek si rivolge direttamente al popolo ceco servendosi dell’esempio di Cristoforo Colombo, scopritore del Nuovo Mondo per risalire in forma brevi e concisa, alla necessità di un partito che assicuri il progresso sociale attraverso la moderazione.

Nel 1950 Simone Weil, con tutt’altro spirito e intento, pubblica sul n.26 della rivista “The Table Ronde”, il Manifesto per la soppressione dei partiti politici la cui visione radicale si potrebbe sintetizzare nella seguente frase:…I partiti sono organismi costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia.

Alcuni anni prima, nel 1941, Altiero Spinelli (1907-1986), Eugenio Colorni (1909-1944) ed Ernesto Rossi (1897-1967) pubblicano il Manifesto di Ventotene che promuoverà il pensiero di un’Europa unita. Esso nacque da alcuni intellettuali antifascisti in una precaria condizione di confinamento politico e getterà le basi di quella che oggi è l’Unione Europea, ovvero di una sorta di “internazionalismo d’Europa” che fino ad ora, tuttavia, non ha dato affatto i frutti sperati che erano nelle premesse dei suoi teorici.

Nel volume Narrare l’Italia dal vertice del mondo al novecento (3), lo psicanalista junghiano Luigi Zaja lo contrappone esplicitamente al Manifesto del Partito Comunista come esempio di destino positivo rispetto agli effetti politicamente e umanamente devastanti del cosiddetto socialismo reale derivati da quel Manifesto, nel corso del ‘900, ignorando, forse, il fatto che quest’ultimo fu ugualmente importante non solo a livello storico ma anche per aver saputo riunire in un solo testo, di esemplare brevità e densità, la teoria e prassi scientifica di ciò che ancora oggi chiamiamo comunismo. Sarà forse questo importante evento per la cultura non solo italiana, a cavallo tra le due metà del XX secolo, ad essere la fonte d’ispirazione per quel nuovo umanesimo, diversamente coniugato, che caratterizzerà i Manifesti apparsi nei due decenni del nuovo secolo, nonostante la definizione di “fine della cultura”, espressa dallo storico marxista anglosassone Eric Hobsbawm, nel volume omonimo (4). Ed è proprio a tale deriva culturale, non solo annunciata ma in atto, che si è, forse, inteso reagire propugnando nuovi manifesti per il nuovo secolo e millennio.

  1. In seguito all’’uscita del manifesto marinettiano, tra la prima metà e la seconda del XX secolo, tra avanguardie storiche e neo-avanguardie e finanche transavanguardie, vi fu una ricca produzione intellettuale di manifesti artistici: dal Bleue Reiter (Cavaliere Azzurro, 1909), Vorticismo, 1914, Dada, 1918, Surrealismo, 1924 si passò felicemente al Situazionismo, (Internationale Situationniste, 1960) e al successivo Fluxus, 1963, fino al curioso, femminista Manifesto per la distruzione dei maschi (S.C.U.M. Manifesto), 1968-’69. In ambito letterario, invece, ecco apparire nel 1980 il Manifesto Subnormal, “riflessione e insieme farsa contro la normalità” recita il sottotitolo di questa singolare opera dello scrittore catalano Manuel Vazquez Montalban, apparsa prima che l’invenzione del personaggio di Pepe Carvalho portasse l’autore ad un successo planetario.

Tutti questi artisti, scrittori e intellettuali si videro al centro di frenetiche attività di promozione artistica, figure quali Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), Vasilij Kandinskj (1966-1944), Paul Klee (1979-1940)  Franc Marc (1880-1916), Tristan Tzara (1796-1963), Hans Richter (1888-1976), Andrè Breton (1896-1966), Michel Soupault (1897-1990), Marcel Duchamp (1887-1968), Guy Debord (1931-1994), ma anche intellettuali italiani meno noti conosciuti quali Gianfranco Sanguinetti (1948), Giuseppe Chiari (1926-2007), Gianni Emilio Simonetti (1940) e Valerie Solanas (1936-1988). Su questi manifesti e su altri minori ma non meno significativi si è formata la storia di quasi un secolo di movimenti che guardavano al futuro dell’arte, dei linguaggi e delle forme, quasi a voler sostituirsi fin dal principio all’impossibilità di una rivoluzione sociale e totale. Oggigiorno, esaurita qualsiasi spinta o ipotesi di rivoluzione, condizione obbligata in una società dominata dal capitale globale, non si parla più di avanguardia, tutt’al più se ne discute a livello teorico, e in taluni casi se ne prendono volentieri le distanze quasi che essa siano più un retaggio del XX secolo, quindi riguardante l’intellighenzia intellettuale e non le masse popolari a cui è finalizzata la stragrande maggioranza del prodotto artistico.

Nell’ambito cinematografico, tradizionalmente poco incline ai proclami scritti, l’Oberhausen Manifesto 60, 1963, ad opera di registi come Alexander Kluge (1932) e Edgar Reitz (1932), portò alla definizione di cinema tedesco nel segno della modernità e della cosiddetta politica degli autori. Dunque, di un nuovo paradigma che situerà il cinema tedesco tra le cinematografie più rilevanti d’Europa e del mondo. Molti anni più tardi vide la luce Dogma 89 per volontà e rappresentazione di due cineasti danesi, Lars von Trier (Idioterne-Idioti, 1998) e Thomas Vinterberg (Festen-festa di famiglia, 1998). Testimone di una sorta di nuovo puritanesimo filmico, è strutturato in dieci punti ciascuno dei quali muove da una volontà di sottrazione rispetto ai canoni spettacolari del cinema tout court.

  1. Con la presunta, equivoca “fine delle ideologie” che avrebbe travolto l’Europa e l’intero mondo occidentale, con l’eccezione, in parte, dell’America Latina, ci si è progressivamente trasformati in una sorta di orfani delle ideologie stesse, ormai senza punti di riferimento certi. Non dovrà stupire, dunque, che è proprio in tale clima di incertezza che fioriscono nuovi Manifesti nati in risposta al vuoto del presente, con la precisa volontà di sostituire ai grandi proclami dei massimi sistemi ideologici dell’arte come della politica, un nuovo pensiero umanistico e laico, in taluni casi perfino provocatorio. Infatti, è del 1999 il Manifesto Laico, promosso da un gruppo di giornalisti, editori e sociologi come Paolo Sylos Labini, Alessandro Galante Garrone, Giorgio Bocca e Vito Laterza. In esso si legge, tra gli altri, un significativo passaggio: …il laicismo, il liberalismo sono il modo d’essere della soggettività che nella sua autonomia radicale, nella sua insubordinazione perenne è antagonista del dominio diretto o indiretto sul pensare e sull’agire degli individui in tutte le loro relazioni (5). Siamo ormai lontani, come si nota, dai concetti di classe, di collettività attiva e di massa critica, propri delle sinistre. Qui, al contrario è il singolo individuo a scegliere il proprio destino. Con un certo grado di illusione utopica.

I concetti di libertà, di liberazione e di libero pensiero sono al centro di opere più recenti: I Tre manifesti per la libertà (6), 2018 dello scrittore turco Ahmet Altan, Poesia del futuro – Manifesto per un movimento di liberazione planetario (7), 2021, del filosofo e attivista croato Srecko Horvat e il Manifesto del libero pensiero, 2022 di Paola Mastrocola e Luca Ridolfi. Il primo è un curioso esempio di petizione plurale (di ben 51 premi Nobel!), contro la carcerazione politica di uno scrittore nella Turchia di Recep Erdogan, che diventa Manifesto universale del diritto dell’uomo alla libertà di pensiero. Nel secondo Horvat riflette, con tono colloquiale e a tratti autobiografico, sul destino della democrazia partecipativa, rappresentata dai Movimenti presenti, oggi, nel mondo. Della loro debolezza e di una loro possibile riattivazione su scala planetaria.

ll terzo, si schiera apertamente contro il politically correct, la censura delle parole e dei concetti scomodi che sembra, in questo scorcio di nuovo secolo, privilegiare il conformismo più dilagante come la cancel culture proveniente dall’altra parte dell’Oceano. Si legge: Oggi, però, il politicamente corretto non è soltanto l’ideologia con cui l’establishment legittima se stesso, la cappa che grava su qualsiasi pensiero difforme. Decenni di politicamente corretto hanno contribuito anche a cambiare le persone etc.(8)

Democrazia ed eguaglianza si ritrovano in uno scontro dialettico in due testi che non potrebbero essere più diversi: Manifesto per l’uguaglianza (9) 2018 di Luigi Ferrajoli, ossia la restituzione all’idea di uguaglianza tra gli uomini del suo valore giuridico coniugato con tutti gli altri parametri di una società libera e democratica. Sudditi – Manifesto contro la democrazia, 2004 (10) e Manifesto dell’antimodernità (11), 2012 entrambi di Massimo Fini, laddove è lo stesso concetto di democrazia occidentale ad essere messo sotto accusa, in quanto regime di minoranze organizzate, di oligarchie politiche ed economiche e criminali che schiaccia e asservisce l’individuo già frustrato e reso anonimo dal micidiale meccanismo produttivo di cui la democrazia è l’involucro legittimante. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, il “Manifesto” di Massimo Fini, anarchicamente, rifiuta anche la critica alla democrazia come governo del popolo che dominò per più di un secolo il pensiero liberale, smascherandone l’inganno contemporaneo del neo-liberismo oggi vincente.

Con Il Manifesto de L’utilità dell’inutile, 2015 di Nuccio Ordine, l’idea del manifesto come Libro, già presente in altri Manifesti, permette di giungere, in un testo di notevole densità, all’approfondimento di alcune tematiche socio-culturali su cui graverebbe, nel presente, il peso di un possibile oblio e lo stigma dell’inutilità. Laddove, al contrario, viene affermata la necessità etica ed estetica di valori come la cultura e l’educazione alla bellezza e alla poesia contro gli stereotipi dominanti nella nuova società globale (12)

In una posizione decisamente appartata, ma comunque critica verso le politiche del presente, troviamo, infine, il Manifesto per un XXI secolo contadino, 2015, della sociologa ed economista Silvia Perez-Vitoria.  Leggiamo dal capitolo “Impostura”: Nella nostra società fortemente mediatizzata le apparenze, le mistificazioni, i raggiri e gli altri aspetti dell’inganno sono all’ordine del giorno. Tentano di camuffare le strategie e gli obiettivi in azione. Sono anche strumenti volti a rispondere alle inquietudini e al malcontento delle popolazioni disorientate…  (13). Nell’efficace tentativo di “rompere con l’onnipotenza della scienza e della tecnica” e di smascherare i governi e le politiche economiche responsabili non solo dei disastri ecologici ma anche di nuove e più profonde ingiustizie sociali, il messaggio di Perez Victoria è rivolto a coloro che vedono nella non rassegnazione e nella decrescita scientificamente studiata uno strumento quotidiano per il cambiamento. In una sorta di percorso circolare, come passare dal punto alfa al punto omega, o se si preferisce, dal Comunismo al Comunismo, dal XIX° al XXI° secolo, ecco emergere, paradossalmente, dalle rovine della storia politica, un nuovo manifesto comunista e precisamente il Manifesto dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria, 2024, strumento di propaganda politica promosso dal neonato “Partito Comunista Rivoluzionario” (PCR) e dal collettivo romano “Sinistra Classe Rivoluzione”. Viene naturale se non perfino ovvio, domandarsi che cosa significhi e se sia possibile essere rivoluzionari oggi con gli strumenti dialettici di ieri senza il dovuto confronto con la realtà e gli strumenti teorici e pratici messi a disposizione da un presente che di tutti.

 

 

 

 

Note

  1. Cosimo Cerardi, Karl Marx e Friedrich Engels Le radici del comunismo scientifico genesi e struttura del “Il Manifesto”, La Mongolfiera, editrice, Cosenza 2017, pag.32
  2. Michel Faber, La musica, il suono e noi, Nave di Teseo, Milano 2024, pag. 168

3 Luigi Zaja, Narrare l’Italia. Dal vertice del mondo al novecento, Bollati Boringhieri, Torino 2024

  1. Eric Hobsbawn, La fine della cultura, saggio su un secolo in crisi d’identità, Arnoldo Mondadori editore, Milano 2014
  2. Enzo Marzo e Corrado Ocone (a cura di), Manifesto Laico, Editori Laterza, Bari 1999 pag. 31
  3. Ahmet Altan, Tre manifesti per la libertà, Edizioni E/O, Roma 2018
  4. Srecko Horvat, Poesia dal futuro – Manifesto per un movimento di liberazione planetaria, Bompiani editore, Milano 2021
  5. Paola Mastrocola, Luca Ridolfi, Manifesto del libero pensiero, Nave di Teseo, Milano 2022, pag. 35
  6. Luigi Ferrajoli, Manifesto per l’uguaglianza, Editori Laterza, Bari 2018
  7. Massimo Fini, Sudditi – Manifesto contro la democrazia, Marsilio editori, Venezia 2004
  8. Massimo Fini, Manifesto dell’antimodernità, Marsilio editori, Venezia 2003
  9. Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile, Bompiani editore, Milano 2013
  10. Silvia Perez-Vitoria, Manifesto per un XXI° secolo contadino, Jaca book, Milano

2016, pag. 43

 

 

Bibliografia consigliata

 

Manifesti del Futurismo, a cura di Viviana Birolli, Abscondita, Milano 2008

Internazionale Situazionista (Ce na ete qu’un debut), La Salamandra, Milano 1976

Breton Andrè, Manifesti del surrealismo, Giulio Einaudi editore, Torino 1966

Hasek Jaroslav, La vera storia e il programma originale del Partito del Progresso Moderato, nei Limiti della Legge, Graphos edizioni, Genova 1992

Kandinskj-Marc, Il Cavaliere Azzurro, De Donato editore, Bari 1967

Lolletti Matteo, Pasini Michelangelo, Purezza e castità Il cinema di Dogma 95: Lars von Trier e gli altri, Foschi editore, Forlì 2011

Montalban Manuel Vazquez, Manifesto subnormale, Pellicano Libri, Catania 1980, rist. Frassinelli editore, Milano 2006

Solanas Valerie, S.C.U.M. – Manifesto per la soppressione dei maschi, SE Edizioni, Milano 1987

Spinelli Altiero, Rossi Ernesto, Manifesto di Ventotene, Arnoldo Mondadori editore, Milano 2017, rist. Edizioni Epokè, Milano 2024

Tzara Tristan, Manifesti del dadaismo, Giulio Einaudi editore, Torino 1964

Weil Simon, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi editore, Roma 2012

 

*immagine generata con AI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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