Per un’etica della Resistenza – ieri, ora e sempre

di Edoardo Crisafulli

30 aprile 1945, penzolano a piazzale Loreto i corpi esanimi di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi fascisti giustiziati dai partigiani. Il volto del Duce è sfigurato. La folla, inferocita, si era sfogata selvaggiamente. Ecco la testimonianza di Sandro Pertini: “quando mi dissero che il cadavere di Mussolini era stato portato a piazzale Loreto, corsi con mia moglie e Filippo Carpi. I corpi non erano appesi. Stavano per terra e la folla ci sputava sopra, urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai – tenete indietro la folla! Poi andai al CLN e dissi che era una cosa indegna: giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori, Marazza, Arpesani, Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si precipitarono a piazzale Loreto, come me, per porre fine allo scempio. Ma i corpi, nel frattempo, erano già stati appesi al distributore della benzina. Così ordinai che fossero rimossi e portati alla morgue. Io, il nemico lo combatto quando è vivo e non quando è morto, lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra.”

Questo episodio racchiude una straordinaria lezione di civiltà per la nostra generazione e per le future: la Resistenza aveva un suo codice etico, eccome se ce l’aveva! Non vivo nel mondo di Walt Disney: lo so bene che tutte le guerre sono geneticamente criminali, incluse quelle giuste. Alcuni partigiani si macchiarono di orribili delitti. Tra la fine del ‘43 e la primavera del ’45 ci furono vendette, regolamenti di conti, atti criminali ingiustificabili. Ma sfido chiunque a dimostrare che i partigiani abbiano organizzato una sortita in Germania per piazzare bombe nei luoghi di ritrovo o di svago; sfido chiunque a citarmi un solo episodio “stragista”, in una guerra civile che durò quasi due anni, intendo un fatto di efferata ferocia che abbia visto i partigiani pianificare a mente fredda e poi realizzare con cieca determinazione una mattanza di un migliaio di innocenti, scelti a caso fra civili tedeschi, incluse donne e bambini. Non ho mai letto un documento che attesti crimini contro l’umanità commessi da chi lottava per la libertà dalla svastica e dal fascio littorio: vi risulta forse che i nostri partigiani, radunati nello stesso luogo centinaia di mogli, figli e nipotini dei gerarchi fascisti, abbiano giocato a tiro al bersaglio, stuprando in gruppo, spezzando ossa, mozzando teste e infierendo infine sui cadaveri? Sfido chiunque a provare che un (inesistente) massacro di tal fatta sia mai stato anche solo ventilato dal CLN.

I nostalgici fascisti, nel dopoguerra, hanno cercato di infangare la Resistenza ricamando sui brutti episodi che pure vi sono stati. S’è detto che l’attentato a Via Rasella fu un atto terroristico. Nulla di più sbagliato e infamante: quella è stata un’azione di guerriglia contro soldati nemici, i quali indossavano una divisa ed erano armati fino ai denti. Nelle cosiddette azioni di terrore urbano, i GAP colpivano gerarchi, militari repubblichini, collaborazionisti e informatori dei nazifascisti: individui infami che consegnavano antifascisti ed ebrei ai carnefici nazisti. Non vi è nulla, nella strategia partigiana, che eguagli la ferocia terroristica delle SS e dei fascisti a Marzabotto, località che fu rasa al suolo – mille ottocento trenta i civili (1.830!) uccisi barbaramente, fra cui addirittura una donna incinta sventrata con la baionetta per infilzare il feto, bimbi gettati vivi nelle fiamme, neonati decapitati;  stessa sorte macabra capitò al parroco Giovanni Fornasini, rinvenuto alla fine dell’inverno con la testa staccata dal corpo. La mattanza si consumò in pochi giorni, dal 29 settembre al 5 ottobre del 1944. Come reagirono i partigiani? Inflissero forse la stessa punizione a 1.830 civili tedeschi scelti a caso, nel 1945, oppure a 1.830 famigliari dei fascisti, inclusi i loro bambini e neonati? Non lo si ripeterà mai abbastanza: vi furono solo alcuni episodi truci, nel corso della lotta di liberazione. E questo – il comportamento dei nostri partigiani – sia un argomento conclusivo contro coloro che sostengono la necessità di una reazione durissima, anzi disumana, a uno stato di cose ingiusto.

Nei documenti storici leggiamo che i capi partigiani dibattevano le azioni militari da intraprendere. Ragionavano in base a una logica politica e morale. Era utile e/o lecito colpire Giovanni Gentile? Vi fu una discussione, c’era chi dissentiva. E parliamo, qui, di una figura con luci ed ombre: Gentile era un uomo di cultura e un “fascista moderato”, ma l’obiettivo era legittimo, essendo lui Ministro di un Governo, quello della Repubblica Sociale, che aiutava le SS a uccidere italiani e che spediva connazionali di fede ebraica ad Auschwitz. I terroristi che, dal 1945 in poi, ovunque nel mondo, vogliono fregiarsi del titolo di guerriglieri o partigiani per la libertà sono fatti di tutt’altra pasta. Ciò è evidente per chiunque abbia occhi per vedere e cervello per intendere: una pasta malefica, immorale. Oggi nei dibattiti su Facebook le analogie storiche non vanno per la maggiore. Così saremo condannati a ripetere gli errori (o i crimini) di ieri. Ci sarà sempre una circostanza, una sofferenza acuta, un’ingiustizia che gridano vendetta, che richiedono il versamento di sangue innocente. Mi par di sentirli, certi compagni duri di comprendonio: “non tirare in ballo la Resistenza, che c’entra. È diverso!”. Proprio una bella espressione qualunquista – “è diverso”. Questo è il mantra di chi giustifica le atrocità e le ritorsioni violente, quelle di ieri e quelle di oggi. Lenin non diceva forse che la rivoluzione non è un pranzo di gala? Sì, e infatti le peggiori atrocità, in Italia, le commisero i partigiani che volevano la rivoluzione violenta. L’eccidio di Schio fu un crimine di guerra vergognoso.

Non dimentichiamoci, però, che nella Resistenza italiana c’era, sì, qualche esaltato marx-leninista ma non scalpitavano fanatici religiosi; vi militavano cattolici come Benigno Zaccagnini, ebrei laici come Primo Levi, qualche monarchico, socialisti riformisti e libertari, ovvero compagni che si erano opposti a quel bagno di sangue che era stata la Rivoluzione bolscevica, nonché comunisti democratici che avevano scelto la via pacifica al socialismo. L’etica della maggioranza dei nostri partigiani, insomma, veniva da lontano: quando i massimalisti e i neo bolscevichi italiani, nel 1917, avevano urlato a squarciagola che bisognava imitare le gesta eroiche di Lenin, il mite ma coraggioso Filippo Turati si oppose e contestò le tesi rivoluzionarie. In nome di cosa? Di quell’afflato umanitario che ha sempre pervaso il socialismo italiano: Turati soleva ripetere che amava troppo l’umanità, sicché non avrebbe mai neppure immaginato di consegnare i suoi avversari a un boia. Lo stesso Turati, tuttavia, ammetteva il ricorso alle armi, ma solo in condizioni ben precise, eccezionali direi: la perdita della libertà e dell’indipendenza nazionale. E che dire del Gramsci dei Quaderni? Il grande intellettuale sardo fu l’anti Lenin: teorizzò una rivoluzione graduale e pacifica, basata sulla conquista dell’egemonia culturale.

Cosa avrebbero detto Turati, Matteotti, Nenni dei terrorismi che insanguinano varie zone del globo non lo possiamo sapere. Però sappiamo cosa pensavano, e come agivano, dinnanzi al peggior nemico che l’Occidente abbia mai fronteggiato: il nazismo. Sappiamo per certo che non persero la loro umanità. Sappiamo che si ispiravano a un codice etico: avevano tracciato dei limiti invalicabili, necessari nella pur cruenta guerriglia. Una guerra giusta, di autodifesa, ci obbliga a uccidere, nostro malgrado. Ma giammai dobbiamo dimenticare che lottiamo per un mondo migliore in cui l’uomo sia fine e non mezzo. Ne consegue un principio inderogabile, valido ancor oggi: laddove possibile, la lotta per l’emancipazione dev’essere pacifica, non violenta, gandhiana; solo quando si combatte un mostro totalitario è lecito, anzi doveroso, imbracciare il mitra. E, quando con riluttanza lo si imbraccia, quel mitra, l’imperativo morale deve essere sempre il medesimo: ci si ispiri alla morale della Resistenza italiana: giustizia, pietas e libertà, non già vendetta, odio e oppressione.

Non mi aspetto che tutti i miei lettori siano d’accordo: in Italia, negli anni Settanta, vi furono fiancheggiatori e simpatizzanti delle Brigate rosse, i cui perversi militanti uccidevano vigliaccamente poliziotti padri di famiglia e politici democratici. Qual era la loro autodifesa non richiesta, in realtà un’autoaccusa manifesta? Altroché democrazia, qui c’è un regime fascista strisciante, lo Stato borghese d’accordo con i capitalisti reprime il dissenso, i neofascisti piazzano le bombe ecc. Come volevasi dimostrare: un terrorista giustificherebbe la sua volontà nichilista e omicida anche a Disneyland. Ebbene, mi rivolgo ai compagni che hanno sale in zucca e un cuore puro: meditate tutti sulla lezione politica e umana della Resistenza italiana. Soprattutto voi che, dal dopoguerra in poi, avete voluto affibbiare il titolo onorifico di guerrigliero o di partigiano a terroristi assassini che, oltretutto, non hanno mai fronteggiato un nemico feroce e formidabile qual era il soldato nazista. No, non ve la cavate dicendo che è diverso: se c’è qualcosa di diverso rispetto ai tempi di Sandro Pertini è proprio l’inesistenza di una minaccia nazifascista. E anche se vi fosse, tale minaccia: sì, le condizioni storiche mutano, ma l’ideale è eterno. Una Resistenza, per dirsi tale, deve avere – in ogni tempo e luogo – una sua moralità intrinseca, a prescindere dall’avversario. Altrimenti la lotta armata diviene illegittima e rientra nella categoria del nazifascismo o del bolscevismo più efferato, benché si presenti con altre, più nobili e candide vesti.

 

fondazione nenni

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One thought on “Per un’etica della Resistenza – ieri, ora e sempre

  1. “”Proprio una bella espressione qualunquista – “è diverso”. Questo è il mantra di chi giustifica le atrocità e le ritorsioni violente, quelle di ieri e quelle di oggi. Lenin non diceva forse che la rivoluzione non è un pranzo di gala? Sì, e infatti le peggiori atrocità, in Italia, le commisero i partigiani che volevano la rivoluzione violenta. L’eccidio di Schio fu un crimine di guerra vergognoso.”” Si sostiene, dopo aver citato Marzabotto, che i partigiani compirono eccidi peggiori dei nazi-fascisti?? frase ambigua che svilisce il contenuto dell’articolo.

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