LA MEDICINA FRA PAURA, CORAGGIO E DESIDERIO.

di Luca Giammarco

Sono stato molto colpito dall’intervento di Alessandro Baricco dell’altra sera a Che tempo che fa. Non per questioni letterarie, che lascio a chi è più competente di me e non lettore esclusivamente per passione. Mi riferisco a quello che lo scrittore ha detto rispetto alla sua malattia. O meglio: al rapporto quotidiano che ha avuto, ed ha, con la sua malattia, a come vive giorno per giorno questa condizione non facile.

Baricco ha espresso, attraverso il suo racconto, la dura ma non impossibile convivenza fra paura e coraggio partendo da una considerazione per me logica, ma per tanti non scontata: il rapporto con il nostro corpo.

Noi passiamo una buona metà della nostra vita senza ascoltare i segnali che il corpo ci manda, i discorsi che tenta di fare nella speranza che vengano compresi. E procediamo così: andando avanti ciecamente credendo di dominarlo e di anticiparlo attraverso la mente, non considerando che, in realtà, il corpo capisce certe cose prima e meglio di noi e in qualche modo ci anticipa.

Tanto che, quando gli hanno comunicato il nome della sua malattia, nel momento in cui ne ha preso coscienza Baricco ha detto a sé stesso, e quindi al suo corpo: “Lo sapevo! Adesso cerchiamo di capirci”.

Questa acquisizione di consapevolezza dell’esistenza del nostro corpo, insieme al desiderio di recuperare con esso un dialogo vero e schietto, sono il primo passo per cercare di superare la paura della malattia e trovare il coraggio di tornare a vivere in modo sano.

Ed ecco il secondo punto, cruciale, affrontato da Baricco nel suo intervento. Dopo aver sottolineato, giustamente, che media e società cedono e coltivano eccessivamente la paura nelle persone, Baricco si è chiesto perché ciò accade. E si è dato, ha dato, ha provato a dare una risposta che sento di condividere: perché manca il desiderio. Attenzione: non il desiderio di qualcosa, circostanziato a un oggetto o una situazione che vogliamo accada. Il desiderio in sé, cioè il semplice desiderare che di volta in volta ci proietta leggermente, ma intelligentemente, un po’ oltre la circostanza nella quale ci troviamo.

Chi subisce una malattia, a patto che non sia lasciato solo ed abbia la fortuna di avere accanto un medico che ponga al centro del suo operare la persona, che consideri cioè il paziente come un essere umano e non come un macchina biologica, ha solo un modo per superare la paura che consegue alla presa di coscienza di avere una malattia: tornare a desiderare.

Ma desiderare che cosa?

Ecco il terzo ed ultimo punto affrontato da Baricco.

In senso assoluto, ogni paziente che si trovi a dover sconfiggere una malattia desidera di tornare a stare meglio. Ed è qui che mette radici il coraggio che, inspiegabilmente, ci fa fare delle cose impensate per noi, a volerle razionalizzare. E invece così non è perché, e mi sento di concordare con Baricco, si tratta di manifestazioni sane di un desiderare che prima si era perduto o che era stato ingenuamente lasciato da parte.

Per giungere a questa condizione, è necessario, fondamentale direi, che torni ad esserci un buon dialogo della persona con il suo corpo, una comprensione vera e non competitiva di sciocca supremazia come ha detto Baricco (“Lo sapevo! Adesso cerchiamo di capirci”).

In tutto ciò, mi chiedo: la medicina che ruolo ha? Come si colloca in questo processo di presa di coscienza?

Nei tanti anni di lavoro che ho accumulato, oggi come oggi mi sono dato una risposta.

Ed è: la medicina deve aiutare il paziente a tornare a desiderare, a riscoprire questo sano e salvifico piacere. E per farlo, deve contribuire, innanzitutto e in modo decisivo, a ristabilire il dialogo sano del paziente con il suo corpo.

Di primo acchito potrà sembrare che questo ha poco di scientifico. E può essere vero.

Però, in compenso, ha davvero tanto di umano.

 

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