Il ticket

-di LUCA GIAMMARCO-

 

Non intendo parlare della questione “sanità a pagamento” o “sanità gratis per tutti”. È un argomento che non si può affrontare nel giro di poche righe in un articolo.

Mi voglio riallacciare a quello che ho detto nel mio precedente pezzo, riferendomi ad una intervista, bellissima, di Alessandro Baricco sulla malattia e l’inizio di un dialogo con la propria corporeità.

Ma questa volta voglio affrontare il tema raccontando quanto mi capito di apprendere dalla voce di Andrea Camilleri.

L’inventore del celebre commissario Montalbano ebbi occasione di sentirlo quando, anni fa, fu invitato al Gemelli a tenere un incontro pubblico. Non ricordo più il tema, ma il caso volle che fossi lì a seguire un corso di aggiornamento. Lessi la locandina che nel pomeriggio di quel giorno nella sala conferenze Andrea Camilleri avrebbe dialogato insieme con Luciano Onder, giornalista e divulgatore scientifico.

Siccome il corso di aggiornamento si svolgeva solo di mattina, decisi di trattenermi per assistere a questo incontro, essendo un curioso per natura, sempre interessato ad ambiti disciplinari diversi da quelli per i quali mi sono specializzato.

Camilleri era un narratore nato. Non solo per la capacità di tessere trame straordinarie, ma perché sapeva coinvolgere tutti nelle atmosfere di ciò che raccontava.

Di quell’incontro mi rimase impresso ciò che disse rispetto al ticket – da cui il titolo di questo mio pezzo d’oggi. E cioè: quando veniamo al mondo, ci viene dato in regalo un ticket. In questo biglietto è tutto incluso: gioie, successi, speranze, sogni, soddisfazioni; ma anche il dolore, la malattia e la morte. E aggiunse che proprio in virtù di questo pacchetto all inclusive è inutile arrabbiarsi o non accettare di buon grado l’invecchiamento con i suoi acciacchi, la perdita di persone care durante il cammino della vita, il fatto che certe possibilità fisiche ce le perdiamo strada facendo man mano che gli anni passano.

Al che Camilleri aggiunse: “Anche la malattia, può sembrare paradossale, va accettata di buon grado, con tutti i suoi aspetti dolorosi e purtroppo anche di sofferenza”.

Accortosi che fra il pubblico serpeggiò un po’ di stupore, Camilleri chiarì subito: “Non è un caso che, in medicina, chi viene curato si chiama paziente. E quindi un paziente cosa fa? Come dice la parola stessa: porta pazienza”.

A quel punto, Onder gli chiese come fosse possibile affrontare una malattia con una tale serena presa di coscienza.

E qui Camilleri fu dolcemente perentorio: “Si può fare. Noi non ci rendiamo nemmeno conto di quanto l’uomo sia potente, di quanto sia capace di affrontare anche il dolore più duro. E di quanto sia bello farlo. Perché anche nella sofferenza più estrema, fisica o dell’anima, c’è sempre una possibilità, o qualcuno o qualcosa da lassù, che ci viene in aiuto. E quanto è bello tutto questo”.

Fu un discorso commovente, sincero. Ci furono applausi lunghissimi per Camilleri al termine dell’incontro.

Quelle sue parole, sul ticket all inclusive e la malattia e la sua accettazione gioiosa e paziente, mi sono sempre rimaste impresse.

E da uomo-professionista che cura ogni giorno persone con problemi più o meno duri, più o meno difficili da affrontare con serenità, mi chiedo: come si può raggiungere una simile consapevolezza? Come può, una persona che sta attraversando un periodo complicato a causa di una malattia, essere addirittura gioiosa? Io, onestamente, non ho risposte.

Però, al bisogno, a qualche paziente racconto quel discorso di Andrea Camilleri.

E posso dire che l’anima e il cuore si liberano, per un momento più o meno breve, da tante ansie e da tante preoccupazioni. E inizia, può avere inizio, la guarigione.

Anche questo, in fin dei conti, è Scienza.

 

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