“Perché si scrive? Per non far piangere i bambini”. Intervista a Errico Buonanno

-di RITA BORELLI-

 

Il panorama letterario è costellato di moltissimi scrittori, ognuno dei quali con la propria esperienza e fantasia trasferisce su carta le sue emozioni creando storie. Tra questi scrittori, alcuni brillano di una luce propria tutta particolare, offrendoci dei lavori frutto di loro esperienze personali di vita. Ho avuto il grande privilegio di incontrarne uno, e di poter fare con lui una bellissima chiacchierata: Errico Buonanno.

Lo definirei un artigiano di grande sensibilità e di profonda umanità. Con le parole riesce a raccontare mondi di vibranti e profonde emozioni. La sua penna, come una lama affilata e precisa, scolpisce storie che penetrano l’animo umano, lasciandoci dentro infinite sensazioni che ci permettono di scoprire meravigliosi orizzonti. In questa intervista esploreremo il suo talento creativo, i segreti del suo universo narrativo e della sua sensibilità.

La prima domanda che vorrei rivolgerti è questa: se ti chiedessi di descriverti come scrittore e uomo cosa mi riveleresti di te?

Domanda grandissima, quanto tempo abbiamo?… Diciamo che l’Errico scrittore segue due polarità. Scrive cose all’apparenza molto brillanti ma comprende di saper ridere soltanto delle cose che più lo fanno piangere e lo tormentano. È uno scrittore agrodolce direi, che fa salti continui dalla narrativa alla saggistica, cercando il filo rosso conduttore –  che io vedo – con un’idea di fondo comune, ovvero: che la vita in definitiva è un’immensa tragedia e l’unica salvezza che abbiamo è quella di immaginare. Quindi, dobbiamo immaginare bene perché  le cose diventino realtà. È  grazie alla immaginazione infatti che ognuno può sfuggire a tutte le cose brutte della vita. E questa idea di fondo io ho cercato di svilupparla in vari modi.

Quali?

Occupandomi  per esempio delle  persone che un tempo volavano e ponendomi questa grande domanda: come mai fino alla scoperta della legge di gravità, ovvero fino a quando qualcuno non ha detto agli uomini che questo era impossibile, ci sono stati più di 200 casi di persone che volevano?

Forse perché secondo te è finita l’immaginazione?

Sì esatto, ma forse anche perché in fondo il mondo è come lo vediamo. La domanda fondamentale è: ma cosa vedevano questi uomini volanti? Cosa gli succedeva? E cosa succederebbe oggi per esempio se noi vedessimo volare un grande santo come Giuseppe da Copertino?

Cosa potremmo pensare oggi secondo te?

Oggi noi al massimo – forti della nostra razionalità – saremmo in grado forse di vedere solo un atleta capace di fare dei grandi salti. Ecco questo è un esempio di  come l’immaginazione riesca a darci una diversa visione della realtà. Io mi sono anche occupato di  complotti e fake news, applicando esattamente il medesimo principio, ovvero  l’idea che  se ciò che noi immaginiamo può diventare reale, questo significa che ognuno di noi ha la responsabilità di dover sognare bene, perché se sognassimo il male, se sognassimo l’odio, le stragi, queste potrebbero diventare reali.

Credi veramente che il pensiero sia creativo fino a tal punto?

Sì assolutamente. Quindi il filo rosso conduttore è il grande potere del racconto, delle storie e dell’immaginazione, che può salvarci oppure rovinarci.

E l’Errico uomo invece?

Dirti invece chi è l’Errico uomo è molto difficile. Io pago una terapeuta per capirlo! Quindi descriverlo in due parole è difficile.

Ci vuoi provare?

Ricordo che quando vinsi il premio Italo Calvino con il mio primo romanzo, Piccola serenata notturna pubblicato da Marsilio, quando mi intervistarono facendomi la domanda perché io scrivessi, ricordo che risposi: “Io scrivo perché vorrei che le persone mi volessero bene”. Cercavo questo. Io credo che il bello ed il brutto dell’Errico uomo, i suoi problemi e le sue fortune siano racchiusi in questa frase. L’Errico uomo è una persona che vorrebbe molto l’affetto degli altri e ovviamente è da questo che derivano tutte le virtù ed i dolori, ma è anche un uomo che si entusiasma e cerca la meraviglia.

Perché  cercavi qualcuno che ti volesse bene?  Non te ne volevano?

Non si tratta chiaramente di qualcosa di oggettivo. Non è che una persona cerca il bene perché ce l’ha o non ce l’ha. Il bene semplicemente lo cerca. Probabilmente per capirlo dovremmo tornare all’infanzia. Rispondere alla domanda perché Errico vuole che qualcuno gli voglia bene, è decisamente una risposta che  appartiene solo ad una terapeuta. Perché qualcuno ad un certo punto della propria vita teme di sparire se non avverte di essere presente nei pensieri degli altri? Perché si sente il bisogno di fissare su carta un’emozione e salvare il salvabile in una lotta continua della memoria della vita?

Perché secondo te?

Vedi io ho avuto una grandissima lezione dalla vita, la convivenza con mia nonna.

Nonna Teresa?

Sì in realtà mia nonna materna si chiamava Olga. Il nome di Teresa gliel’ho dato io per un piccolo stratagemma letterario. Mia nonna si ammalò di Alzheimer e visse con noi fino alla fine del suo ultimo respiro che io sentii con queste orecchie. Per me vivere questa situazione fu una grandissima lezione di vita che mi impartì mia madre:  perché le persone non si abbandonano, ed è doveroso essergli accanto. Fu quindi un evento educativo  e al tempo stesso doloroso vedere  la memoria di una persona che piano piano sparisce. È qualcosa di impressionante, che ti resta dentro in modo incancellabile e ti induce a porti un sacco di domande. Ti chiedi: ma dove stanno finendo i  suoi ricordi? I suoi pensieri ed emozioni? Spariscono insieme al suo corpo? Che cos’è l’anima? È un fantasmino che abbiamo dentro la nostra mente? Grande domanda! Noi abitualmente attribuiamo alla nostra mente i pensieri e tutto quello che ci rende esseri umani. Ti posso fare io una domanda a te? Per te cos’è l’anima?

E no! Le domande qui le faccio io.

Sì d’accordo.  Ma tu  hai una risposta che possa aiutarmi a capire?

Per me l’anima risiede nel cuore, non nella mente. Tu che ne pensi?

Sai è difficile veramente avere delle risposte. Perché vedere una persona non riconoscere più la propria figlia, vedere svuotarglisi la mente è veramente destabilizzante. Sono convinto che questa situazione, insieme alle grandi storie del passato, e della mia storia familiare e dei suoi miti fondativi, e i racconti come tentativo di conservazione, e la divinità casalinga che piano piano è diventata vuota ed enigmatica, il pensiero di cosa resta, la paura di sparire: mi sembra che tutto questo sia abbastanza centrale per me.

Quindi è per questo motivo che tu desideri che ti si voglia bene?

Sì  esatto. Perché sono cresciuto con l’idea che si resta vivi solo nei racconti  e nei pensieri dei tuoi cari.  Dove sono oggi i miei nonni, i miei bisnonni? Sono nei racconti, nei pensieri delle persone che gli hanno voluto bene. Quindi se  le persone non ci voglio bene, se usciamo dal loro cuore, se ci dimenticano, cosa resta di noi? Andrò avanti con la mia terapeuta ricercando una risposta, ma credo che questa già lo sia al mio bisogno che le persone mi vogliano bene. Credo che le persone mi vogliano bene, ma ho comunque la paura di uscire dal loro cuore e di essere dimenticato e quindi di non esistere più. Per cui comprenderai  anche del perché in me, nell’Errico uomo e scrittore, c’è  il sorriso e il pensiero cupo.

Qual è il tuo libro a cui sei più affezionato?

Probabilmente Vite Straordinarie di uomini volanti, uscito per Sellerio. In questo libro sono riuscito a trovare quell’equilibrio che spesso cerco.

Ti piacerebbe volare?

Lo faccio già. È quello che ho cercato di spiegare nel libro. Volare per me vuol dire avere la testa tra le nuvole. È essere poco adatti a questo mondo. È appartenere ad un piano lievemente sfalsato  di realtà, ed in questo senso io già volo. Considera che questo libro l’ho scritto in un momento di grande difficoltà personale, un momento in cui avevo bisogno di trovare  una giustificazione al mio essere come sono,  e al mio scrivere.

Ovvero? Puoi spiegarmi meglio?

Scrivere in definitiva non è una cosa concreta, e quindi mi sono chiesto se non fosse meglio fare un mestiere più pratico nella vita. Scrivere può non servire a niente, tuttavia c’è un valore anche nel non servire a niente,  come il volo, che in definitiva non serve a nulla e a nessuno.

Cioè?

Questi uomini volanti non erano dei supereroi che hanno salvato qualcuno o qualcosa. Volavano per meraviglia, per stupire, volavano perché era la loro natura. Era un miracolo però fine a se stesso. Nel libro descrivo il personaggio di Simon Mago  per esempio, che è capace di volare e che  sfida San Pietro alla gara dei miracoli. San Pietro rappresenta la concretezza. Lui come Gesù faceva miracoli pratici, utili. Gesù trasformava i pani e i pesci, o l’acqua in vino, oppure guariva dalla lebbra. Simon Mago invece sapeva solo volare o far ridere le statue. Nulla di pratico perciò. Eppure il fatto che egli fosse in grado di volare rendeva San Pietro invidioso, al punto che non essendo in grado di farlo lui, prega Dio che faccia schiantare al suolo Simon Mago. Se vogliamo è una cosa meschina pregare per chiede di far morire una persona, e gli riesce anche! Questa, anche se bruttina, è una cosa che possiamo raccontare essendo presente nella leggenda aurea, e poi non penso che offenderemo i credenti.

Quindi possiamo dire che anche tu sei un volante?

Sì, nel senso che faccio cose inutili e rivendico il diritto a questa emotività.

Nel libro sugli uomini volanti racconti che erano felici, quindi secondo te volare è il modo di dare sfogo alla propria felicità?

Sì è vero, gli uomini volanti erano felici quando potevano volare, ma  erano anche consapevoli di doverne pagare le conseguenze e di dover soffrire. Come Giuseppe da Copertino per esempio, che fu imprigionato, o come le streghe. Tutti questi esseri umani erano considerati dei reietti della società e pertanto condannabili, punibili, perché il mondo non era dei volanti, ma di quelli concreti come San Pietro. In un mondo puro chi vola è però felice perché segue la propria natura.

La vita è quindi lo scontro tra quelli che sono felici e volano e quelli che non lo sono e non volano?

Beh se vogliamo metterla così ed utilizzare le categorie di buoni e cattivi, le streghe dovrebbero essere identificate come le cattive della società, eppure io sono dalla parte delle streghe in generale.

Cosa sono le streghe secondo te?

Bisognerebbe fare un discorso antropologico se vogliamo addentrarci in questo contesto. Ho tutta una sezione di  libri sulle streghe e sulla stregoneria. Comunque, se può  interessarti, recentemente ho realizzato un podcast che si chiama Almeno credo, uscito per Raiplay Sound. È  un viaggio tra le varie religioni curiose che si incontrano a Roma, in cui parlo della stregoneria, dei viaggi sciamanici, di altre dimensioni, e abbiamo fatto dei rituali con  amiche streghe. È davvero interessante.

Ma tu sei interessato a questi argomenti?

Avevo scritto su questo argomento un libro per la casa editrice Laterza, L’eternità stanca, che abbiamo deciso di trasformare in podcast. È un viaggio totalmente laico, non un viaggio antropologico. Siamo noi che andiamo a curiosare tra questi fedeli solo con la curiosità di ascoltare e cercare di poter capire.

Pensi che potrebbe esserci più di ciò che noi vediamo?

Se lo si percepisce, sicuramente c’è. Per quanto accennavo prima, ovvero  che diventa vero tutto quello che si immagina. Lo si può prendere come una cosa poetica, oppure come qualcosa di magico. Il principio della magia  è esattamente  questo: abracadabra, io creo quello che dico, quello che penso, quello che voglio.

Quindi?

È l’arte creativa del pensiero. Quando per esempio ci si avvicina al mondo magico cabalistico. Dio crea parlando: che  sia Luce, e Luce fu. Le lettere creano mondi, quindi, per tornare a quanto dicevo poc’anzi: ma in passato alcuni uomini volavano davvero oppure no?  Non ha senso se fosse vero o no. Ciò che ha senso è se crederci o meno. Perché solo se si crede è vero. Per questo è importantissimo il lavoro creativo, perché  la creatività crea mondi, o meglio crea il mondo come ognuno lo vuole, facendo diventare l’inutilità  di cui parlavo prima  sostanza.

Che cos’è la vita per te Errico?

Mamma mia che domanda! Ma tu saresti in grado di rispondere ad una domanda così?

Penso di sì. E tu?

Ti rispondo con le parole di Italo Svevo che diceva: “La vita non è né bella né brutta. È originale”.

Ovvero? Per esempio quando ti alzi al mattino e cosa pensi?

Dipende. Ho alti e bassi enormi. Momenti di enorme felicità che si alternano a momenti di grande disperazione. Cambia tutto a secondo dello stato in cui sono. Fondamentalmente sono un grande pessimista, e non penso che la vita sia qualcosa di definibile. Non penso che abbia un fine ultimo e che ci sia un perché.

Quindi?

Perciò davanti a tutto questo, cerco di fare del mio meglio per essere una persona decente e ritagliarmi ogni giorno un momento di meraviglia  e di vitalità. Credo che siano le uniche cose che danno un senso vero alla vita, che raffiguro come un contenitore dove ognuno ci mette tutto ciò che vuole. La vita può essere orribile, meschina, gretta e per quanto è in nostro potere – ed è davvero poco il potere che ognuno possiede –  non possiamo decidere quasi nulla: dove nascere, le condizioni, le malattie che ci colpiranno, i terremoti, e tutto il resto. Abbiamo solo un piccolissimo spazio: scegliere di trattare il prossimo  in maniera cortese e fraterna e ritagliarci un pezzettino della giornata per vedere cose belle, come il cielo. Poi io per mia natura sono paradossalmente un grande godereccio. Avendo questo lato pessimistico, amo molto la vita, sono molto edonistico, mi piace mangiare, bere, mi piacciono le donne, che è in grande correlazione con questo enorme lato nero che ho.

In definitiva che cos’è la vita?

È quel pezzettino di brillantezza che si riesce a ritagliare in mezzo all’esistenza. Però è vero pure quello che diceva John Lennon: “La vita è quello che ti capita mentre sei intento a fare altri piani”.

Prima mi raccontavi che noi possiamo decidere poco o nulla. Perciò secondo te è tutto ora e qui soltanto?

Sì. Io non credo  in una vita  nell’aldilà.

E cosa pensi che potrebbe accaderci quando non ci saremo più fisicamente? Nonna Teresa, o se preferisci nonna Olga, dov’è secondo te?

È nella mia mente, nei miei pensieri, nei miei ricordi, nella parola e nel racconto.

Quindi tutto ha inizio e termine qui?

Penso che tutti noi cerchiamo di fare qualcosa di abbastanza ridicolo. Credo che ognuno di noi sia d’accordo con la frase che tu hai detto prima.

Ovvero?

Hai letto Flatlandia di Abbot? Racconta la storia di un mondo a due dimensioni, dove si vede di ogni cosa solo il lato anteriore. Noi siamo uomini che riusciamo a vedere solo quello che è umano, però poi pretendiamo di raccontare e ridurre ciò che non vediamo in termini umani ma di adattarli alla nostra immaginazione. Diciamo che non è tutto qui, affermando di conoscere perfettamente quello che c’è  in un’altra dimensione.  Queste sono delle rappresentazioni umane che ci raccontiamo, credendo che dopo  la nostra morte si resti la medesima persona  che si era in questa dimensione.

E quindi Errico?

La morte per me è trasformazione. Pertanto le persone che noi abbiamo conosciuto non potremo ritrovarle altrove nella medesima forma con cui le abbiamo conosciute.  È una immagine troppo umana. Magari potrebbero mutare, come fanno le molecole, che si uniscono e trasformano per diventare qualcos’altro. Per rispondere alla tua domanda, io  credo di non poter continuare ad essere lo stesso Errico anche dopo la morte.  Penso che l’io in questa forma ed a cui voglio tanto bene non esisterà più, ma continuerà a sopravvivere attraverso i racconti, attraverso la voce che si riesce a fissare. Credo inoltre che in me ci siano milioni di persone, c’è l’essenza dei miei nonni, dei miei bisnonni, dei miei trisavoli che avevano passioni, idee, paure, e che ora non ci sono più fisicamente, ma sono ancora qua in quanto vivono nei miei ricordi, ed io farò la loro stessa fine.

In definitiva i nostri cari sono sempre presenti in qualche forma e modo. È così?

Sì, nei nostri ricordi appunto. Vedi, parlando dello spiritismo c’è una cosa che mi lascia molto perplesso: è il fatto che si possa richiamare qualcuno ed entrare in contatto con un determinato io.

Cioè?

La casa dove ora vivo è la casa dei miei nonni Buonanno:  Caterina e Luigi. Mia nonna mi raccontava che dopo la morte di mio nonno Luigi lei lo vedeva alzarsi dalla poltrona e andare in cucina, e che poi quando cercava di raggiungerlo lui non c’era.

E tu che spiegazione ti sei dato a questi fatti?

Che potrebbe essere la forza dell’amore della persistenza.

Oppure semplicemente del credere. Come facevano gli uomini volanti.

Sì, forse. Del resto nonna Caterina affermava di vederlo, quindi per lei era vero. Sai questa casa ha una particolarità. La porta d’ingresso ha due spioncini, uno in alto e l’altro più in basso. Io non ne ho capito subito il motivo, poi l’ho compreso: in tutto c’è una persistenza.

Errico passando ad altro. Hai avuto mai dei problemi davanti ad un foglio bianco?

Dopo aver pubblicato il mio primo romanzo, faticai tantissimo per scrivere il secondo.  Allora vivevo ancora  a casa dei miei genitori e per scrivere avevo a disposizione uno studiolo nella soffitta condominiale. Stavo lì ore ed ore ma non riuscivo a partire. Ricordo la frase di inizio che era: “Sono arrivato ai quarant’anni”. Provavo e riprovavo senza ricavarne nulla. Sono rimasto lì per due mesi  e naturalmente quel libro che iniziava con: “Sono arrivato ai quarant’anni” non è mai nato, ne ho scritto un altro bruttissimo di cui non ti dico neppure il titolo, ma che mi fu pubblicato.

Quindi hai avuto quello che si chiama il blocco dello scrittore?

Assolutamente sì! Ho avuto un blocco terribile! Quello che mi ha aiutato è stato il fatto che io a quel tempo lavoravo alla casa editrice Marsilio ed avevo a che fare con tutti i manoscritti che arrivavano. Vedevo tutti quelli che venivano bocciati, oppure pubblicati e che poi non vendendo finivano al macero. Gli scrittori sono sempre scontenti, pensano sempre di meritare di più. Quando hai a che fare con questa umanità che ha voglia di pubblicare perché crede che il proprio libro sia la cosa più importante del mondo, ed invece è carta straccia, mi sono detto: vabbè Errico buttati e scrivi, sei uno dei tanti e proprio per questo vivi e lascia da parte l’ansia. I tuoi libri non saranno peggiori  di tutta l’altra carta straccia.

Secondo te quando uno può essere considerato scrittore?

Gli scrittori che più amo non si sarebbero mai considerati scrittori. Italo Svevo, pur essendo un genio e un’anima  fraterna, che sento mia sorella, aveva  di sé una considerazione bassissima. Kafka, altro immenso scrittore, prima di morire, malato terminale di tubercolosi, non solo chiese di bruciare tutti i suoi libri, ognuno dei quali incompiuto, ma invece di terminarne almeno qualcuno, scrisse ogni giorno delle lettere ad una  bambina incontrata per caso in un parco a Berlino che piangeva disperata per  aver perduto la sua bambola. Si dedicò a scrivere ogni giorno una lettera raccontandole delle storie sul perché la sua bambola fosse sparita, fino a farle dimenticare il dolore della perdita. Quindi per rispondere alla domanda: chi è uno scrittore? È uno che prova a non far piangere i bambini.  Magari poi le bambole si perdono, però una storia può aiutare un bambino a non piangere. È questo, per me, uno scrittore.

Quando scrivi  i tuoi libri c’è un lettore ideale a cui ti rivolgi?

Scrivo per i miei figli, nella speranza che un giorno loro mi capiscano.

Oltre a Italo Svevo e Kafka quali altri scrittori  sono stati fondamentali  e formativi per te?

Oltre a Svevo e Kafka che sono importantissimi per me,  direi sicuramente Calvino,  Borges, e Collodi con il suo Pinocchio. Uno dei libri più perfetti che esista e che considero come una Bibbia.

E degli scrittori Italiani contemporanei? Quali ti piacciono maggiormente?

Molti direi, e solo per citarne alcuni: Michele Mari, Ermanno Cavazzoni, Emanuele Trevi, Nicola Lagioia, Walter Siti, anche se con lui ho poco in comune. Ho amato molto Paul Auster tra gli internazionali. Anche se in verità mi sono un pochino allontanato dai suoi  ultimi suoi lavori.

Secondo te la letteratura italiana di oggi in che stato si trova?

Penso che negli ultimi decenni abbiamo fatto dei grandi passi avanti per recuperare il romanzo. Noi abbiamo avuto una iattura.

Quale?

La letteratura italiana dell’Ottocento stava sviluppando il romanzo con Manzoni. Il romanzo negli anni Quaranta, Cinquanta del Novecento non era considerato abbastanza sperimentale e impegnato,  tanto è vero che il povero Bassani fu ritenuto un reietto e questo ha fatto sì che gli americani, gli spagnoli, i  sudamericani, gli israeliani e così via diventassero maestri, andando avanti  gloriosamente su quella strada, mentre noi Italiani ci siamo arrestati e quindi abbiamo dovuto in qualche modo recuperare il gap. Dagli inizi del 2000 ad oggi, è nata una generazione di scrittori molto attiva sul fronte romanzo e quindi abbiamo, grazie al cielo, molti validi autori.

Quindi possiamo dire di stare bene dal punto di vista letterario?

Se la domanda è in che stato è la letteratura , questa sta sempre male per definizione. Si dice che non si legge abbastanza. Io mi sono laureato in letteratura Italiana moderna  e contemporanea del 900 e se guardiamo il numero degli autori di best seller di quel periodo troviamo Pitigrilli, Guido da Verona, gente che oggi nessuno conosce e con titoli impensabili:  come Mammiferi di lusso, Vergine a ventiquattro carati. Oggi ci lamentiamo perché in classifica c’è robaccia e si vende poco, ma oggi come allora è sempre stato così. Essere in classifica in quel periodo significava  vendere 2000 copie. Oggi non è vero che si legge meno. La verità è che la letteratura è da sempre e per definizione una cosa per pochi.  Quindi possiamo dire che la letteratura di oggi sta male come al solito, ma continuiamo a produrre romanzi. Quindi andiamo avanti.

Errico tu sei scrittore, autore TV e Radio,  hai lavorato in una casa editrice e tantissimo altro. Tra tutte queste attività per quale ritieni essere più portato?

In realtà non è il mezzo ma è quello che faccio che mi interessa. Mi piace moltissimo ciò che mi consente la scoperta. Ho fatto cose televisive molto belle, andando in giro con Edoardo Camurri alla scoperta di luoghi ameni o storie particolari anche in Radio. Diciamo che quello che prediligo è tutto ciò che può consentirmi di scoprire nuove cose.

Dovendo partire per un viaggio senza ritorno avendo a disposizione una valigia che può contenere solo otto oggetti che ritieni indispensabili per te, a cosa non rinunceresti?

Sicuramente un album di foto del passato, il mio computer che contiene tutto quanto, i miei due gatti – ammesso che la valigia abbia dei buchi per consentigli di respirare – un paio  di miei libri fuori catalogo

Quali?

Porterei il mio primo libro, Piccola serenata notturna, Sarà vero, Vite straordinarie di uomini volanti, e forse quello che ho scritto per i bambini, Fate i cattivi, illustrato dalla mia compagna Caterina Di Paolo.

Null’altro?

Direi proprio di no. Se avessi bisogno di qualcos’altro lo potrei comprare all’Ikea no?

Quali libri Errico ritieni siano assolutamente un sacrilegio non avere letto e mi consiglieresti?

Allora, curiosiamo tra i testi della mia libreria così te li mostro direttamente. Ti consiglierei sicuramente il Codex Seraphinianus, un libro misterioso, affascinante e imperdibile.  Le lettere a Lucilio di Seneca, che sto leggendo e che trovo bellissimo. Seneca poi è a me molto vicino e lo sento un fratello. E poi come ultimo testo ti consiglierei  Ascolto il tuo cuore, città, del grande Alberto Savinio. Mi raccomando leggili davvero!

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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