di Maurizio Fantoni Minnella –
Nel linguaggio della politica vi sono spesso pensieri, opinioni che si trasformano in slogan declamati all’infinito oppure che restano sospesi nell’imbarazzante limbo dei luoghi comuni da sfoderare all’occorrenza. Parlando, ad esempio, dell’eterno binomio fascismo – antifascismo viene spontaneo opporsi a talune versioni negazioniste o riduttive che vengono costantemente riproposte sia dall’area liberal conservatrice sia da quella neo-identitaria, ma anche da quella per così dire riformista. Gran parte di coloro che si definiscono liberali, sostengono di non partecipare alla ricorrenza del 25 aprile fino a quando essa non sarà diventata patrimonio comune a tutte le forze politiche e non solo alla sinistra (non osano dire comunista dal momento che quest’ultima si è trasformata in un fiumicello carsico o in un piccolo esercito di “formiche rosse”). La liberazione dal fascismo non è mai stata sufficiente per costoro per essere sinceramente antifascisti, dal momento che c’era il comunismo in tutte le sue declinazioni da combattere? Pensiamo di si, senza alcun dubbio. Inoltre l’affermazione suona evidentemente ipocrita in virtù del fatto che per la destra l’antifascismo come la cultura sono sempre state sospette, in quanto ancora una volta prerogativa della sinistra. Si intendeva fingere che il fascismo, sconfitto dalla lotta di liberazione, non costituisse più un problema, sebbene durante il ventennio e ancora prima dell’insediamento di Mussolini a capo del governo e dell’inizio della dittatura, fosse servito al capitale in funzione repressiva delle lotte di rivendicazione della classe operaia.
Nel nuovo pensiero identitario antiglobalista e anti-europeista, non solo il neo-neo-fascismo avrebbe cessato di esistere o di essere il vero nemico, ma un possibile sentimento antifascista avrebbe avuto senso ai tempi di Gramsci e di Turati, ossia quando il regime fascista era al potere, mentre la destra che oggi governa sarebbe l’espressione vivente, pur tuttavia con alcune eccezioni, di una politica di continuità con l’atlantismo dei precedenti governi neo-liberisti. Innanzitutto è antistorico o nuovamente ipocrita, fingere di dimenticare che dopo il fascismo, in Italia ci fu il neo-fascismo a due facce, quella in doppiopetto, almirantiana e quella stragista, rautiana, a suo tempo protetta da pezzi deviati delle istituzioni. Tutto questo nonostante la democrazia faticosamente e drammaticamente riconquistata! Ripugna davvero una tale spudoratezza ammantata, come nel caso delle ripetute dichiarazioni di un Diego Fusaro, di pacato intrattenimento politico. Ma già, oggi, la menzogna mediatica si rivela essere l’arma più efficace per fare proselitismo a buon mercato.
Quanto ai riformisti dell’area vicina al partito democratico, non si può certo dire che abbiano mancato all’appuntamento con una specie di antifascismo di facciata, dal momento che anche per costoro, il famigerato neo-neo fascismo, come del resto lo stesso comunismo (in un’equiparazione affrettata, sempre cara al pensiero liberale), si è ridotto solamente a poche sparute minoranze scalmanate che non possono certamente costituire una minaccia sebbene al governo attuale vi siano figure, a partire dal presidente del consiglio, che per la loro storia politica, non potevano certamente rinnegare ciò che sono stati ma neppure riaffermarlo spudoratamente. Molti a sinistra lo hanno fatto, e alla fine tutto è rientrato nel gioco della politica condannato al più ambiguo, talora insano equilibrismo. Un’altra ragione addotta dai riformisti consiste nel vedere l’Europa come una cortina protettiva rispetto a possibili tentativi autoritari al proprio interno. Falso! Di fronte a noi abbiamo l’esempio dell’Ungheria che è parte dell’Europa e membro della Nato, sebbene il governo Orban si presenti come tutt’altro che democratico. Tutte queste forze politiche continuano imperterrite a minimizzare la presenza di gruppi neofascisti e nazifascisti presenti sul territorio nazionale e in particolare in alcune provincie del nord Italia, non ultima la piccola e ricca Varese e la sua provincia, dove le loro lugubri parate nel cuore delle città, i saluti romani e la celebrazione dei loro morti (con imbarazzante parafrasi di quelle antifasciste!), passano sotto silenzio, ignorate dall’indifferenza della stragrande maggioranza dei cittadini per i quali non sarebbero altro che minoranze innocue e marginali di esaltati, sottovalutando volutamente una loro eventuale pericolosità, qualora trovassero sponde certe da parte del contesto sociale e politico nel quale si sono formate diventando ciò che oggi sono. Vi è certamente più gravità nelle stesse cause storico-politiche della loro ormai ingombrante presenza, che nei loro gesti simbolici e rituali. Affermare che la Liberazione sia soprattutto di chi la vive ancora oggi come parte integrante ed essenziale della propria idea di democrazia, esclude inevitabilmente coloro che non hanno saputo e voluto fare i conti con l’immane tragedia del fascismo e della guerra, e al tempo stesso il non aver mai voluto dividere con la sinistra tale insostituibile patrimonio. La Liberazione, infine, sarebbe davvero di tutti se non vi fosse ancora quell’ossessione dell’anticomunismo (che corrisponderebbe alla stoltissima e antistorica ’equazione di: “liberazione dal fascismo = comunismo”), peraltro rinverdita nell’era berlusconiana ed entrata ormai a far parte del DNA di questo paese.
Il fatto che molti italiani in segreto coltivino il sogno autoritario, non significa che esso debba per forza realizzarsi concretamente (un passaggio necessario verso la sua realizzazione sarebbe l’elezione diretta del presidente della repubblica), tuttavia vi sono segni inquietanti di un ritorno al passato pur nello spirito di un presente incerto dove i valori sociali e il diritto sacrosanto di esprimere opinioni contrarie alle forze politiche oggi dominanti, ad esempio, sul conflitto israelo-palestinese, sulla guerra russo-ucraina e, in ultima istanza (che in verità sarebbe la prima!) sulla critica anche feroce ma legittima al capo del governo che definire a-fascista è quantomeno ambiguo e fuorviante (leggi alla voce Scurati), vengono meno anche in seno alla stessa opinione pubblica, al comune cittadino che chiuso nel proprio individualismo, sogna tuttavia l’autorità sovrana incarnata nell’uomo forte solo al comando per tutti gli altri.

La lezione autoritaria è sempre una esperienza utile ai sistemi di conservazione, ma è attuabile solo con la connivenza certe volte di chi si trincera dietro una presunta opposizione. Mi riferisco al diritto del lavoro ed alla vicenda alquanto ” strana” della derubricazione dell’art. 18, svolta se non autoritaria certo rafforzante il sistema neo-gerarchico o neocorporativo interno. La Commissione Lavoro presieduta da Damiano e la Commissione Senato relativa di Sacconi non produssero lo stesso testo, anzi il buon Sacconi excompagno ma sempre moderato produsse un testo più open. Come mai ci si sottomise al testo Damiano, in una ottica confindustriale? IL sogno autoritario è svanito cara giornalista e compagna con il golpe Borghese, mentre il vero ” golpe” bianco, come Martelli ben sa per esserne stato testimone, è iniziato dopo la defenestrazione di Craxi ed il tradimento evidente non di Martelli, sempre coerente, ma di altri che oggi commemorano. No, il fascismo è morto come sistema, autoritarismo . no corporativismo neo-doroteo, che si traduce in un assimilazione del credo confindustriale assistito da Bruxelles alla vulgata dei ” sacrifici” che deve fare una parte a favore della parassitaria. Non sono mai stato comunista, da socialista sotto Nencini mi sono dissociato, non vedo un PSI forte se non in prospettiva surreale, perchè il Pd laburista glamour non produce aggancio e consenso con i lavoratori. Basti pensare al crollo del Morandi a Genova ,a questa brutta pa gina che ricorda il Vajont. Il Fascismo cadde per mano di Pertini e CLN Milano con la esecuzione a Dongo, perchè quello è l’atto fondativo contro il tiranno. Ma i germi fascisti o meglio clerico.fascisti sono sopravvissuti ed oggi sono forti. Gli italiani votano Meloni perchè non più missina ma clerico.fascista, ma certo se qualcuno ritiene il M5S di opposizione bara con noi. E’ utile invece pensare che il trasformismo tipico delle fasi di caduta democratica in questo Paese giovane come Repubblica ritorni, in quanto la economia italiana assistita dall’Europa, cioè da noi stessi, foraggia oligarchie ben note. Le riforme di struttura di Lombardi, le intuizioni strategiche di Mancini, la distrettualizzazione di Craxi sono belle pagine di idealisti, che hanno perduto perchè il vero imperituro potere clericale, colluso con i gangli finanziari( in tal senso Bergoglio avendo riformato lo Ior è inviso) è vivo e vegeto e Martelli questo lo sa benissimo. Ci vogliono le public company, ci vuole il rilancio di Tribune Politiche alla Jacobelli, non i Vespa eterni. Ma questo non piace a qualcuno della ns parte, dico campo largo. Non piace perchè si vuole mantenere un cadavere burocratico, neocorporativo, a discapito della attuazione dei principi repubblicani e riformisti dei padri costituenti. La gente non vede più il Psi , anche perchè il Psi è marginale, vede un Pd che cambia armocromicamente casacche e reggitori , che cadono come enfant prodige dalla borghesia. Catania piange, ma Milano , ho visto di recente, non ride. Autocritica, compagna, questo serve.