Il migrante della porta accanto

di Maurizio Fantoni Minnella

 

Non è vero che se un popolo che fu vittima di un grave torto o di una tragedia, sia immune da compiere, in mutate condizioni storiche e materiali, azioni oppressive a danno di un altro popolo che si trova in condizione di maggior debolezza e inferiorità militare. Ne abbiamo avuto conforma nel prolungarsi per oltre mezzo secolo del conflitto israelo-palestinese!. Chi ha subito un danno, sia esso un singolo individuo, una famiglia o un intero popolo, prima o poi otterrà la propria vendetta grazie alle più diverse circostanze, anziché imparare dalle vittime a non trasformarsi mai in carnefici. Naturalmente vi sono poi le ragioni storiche di un conflitto di civiltà, di un territorio conteso dove, per assurdo, due popoli non possono convivere con i medesimi diritti e la stessa dignità!. Ci troviamo, quindi, di fronte a un’altra declinazione della cosiddetta e ormai abusata “banalità del male”.

Non è vero che un capo di governo, già proprietario di imprese, sia immune, in quanto ricco, dal non approfittare del proprio ruolo politico dominante per moltiplicare o mettere al sicuro le proprie ricchezze. Lo abbiamo visto con limpida chiarezza nella parabola politica, per molti versi imbarazzante, del “cavaliere” di Arcore, Silvio Berlusconi.

Non è vero, infine, che, se una parte di popolo italiano subì il dramma dell’emigrazione, esso saprà sempre trarne una lezione di umanità e di comprensione dell’altro, ossia di colui che, proveniente da altre latitudini, è destinato oggigiorno a subire lo stesso destino.

E’ necessario, quindi, sfatare il luogo comune, secondo cui alle vittime innocenti dell’economia e della storia non si debbano o non si possano attribuire determinate responsabilità politiche nel contesto dell’attualità politica. Sul tema dell’immigrazione sono già stati scritti fiumi di parole e prodotte milioni di immagini, tuttavia, vale riprendere talune false convinzioni secondo cui l’italiano non sarebbe un popolo razzista proprio per questa sua origine e natura composita, frutto di diverse dominazioni territoriali, di intrecci linguistici e culturali, in una sola parola, di contaminazioni che il trascorrere dei secoli ha metabolizzato nell’assetto presente, pur tuttavia lasciando nel tessuto sociale tracce e contraddizioni talora laceranti. Una di queste risiede proprio in due fattori tra loro complementari: l’oblio e la rabbia. Il primo riguarda il fenomeno collettivo della rimozione di storie famigliari appartenute a precedenti generazioni e ad epoche lontane della nostra, per cui meritevoli di essere dimenticate e di cui, magari, provare vergogna. Il secondo, assai più complesso e carico di ambiguità, comprende quell’insieme di remote frustrazioni che perlopiù impediscono di vedere il migrante come un qualsiasi cittadino, bensì come un potenziale nemico e ancor più come colui che dovrà subire il destino che essi hanno sopportato in passato. In altre più semplici parole: per quale ragione per i nuovi arrivati deve essere più facile che per i nostri migranti di un tempo (quelli verso il nord Italia, verso il nord Europa e le Americhe) trovare una propria collocazione nella società ospitante?. Non è casuale, quindi, che gran parte dell’elettorato del sud Italia, che segnò profondamente l’emigrazione del secondo dopoguerra, abbia scelto, votando a destra, l’opzione politica della sicurezza, ossia, dell’intolleranza e dell’esclusione verso le nuove migrazioni. Con alcune eccezioni: i casi virtuosi di Lampedusa e di Riace oltre ad altri, peraltro non molti, meno noti. Quest’ultimo, reso possibile da Domenico Lucano, sindaco di Riace e oggi parlamentare europeo, consistette nello sperimentare sul campo l’idea di integrazione reale tra cittadini locali e migranti provenienti da diversi paesi del mondo, offrendo loro una residenza e un’attività attraverso cui esprimersi, che ha fatto di loro non dei semplici stranieri, passivi o peggio “non-persone”, ma soggetti attivi entro una prospettiva di integrazione sociale e culturale. Un modello che fu gravemente contestato mediante l’accusa di corruzione ai danni dello stesso Lucano cui è seguita una condanna di primo grado, successivamente revocata. Lo scopo era politico nella demolizione legale del personaggio, affinché il modello da lui proposto non dilagasse in tutto il paese, e che, al contrario, continuassero a dominare nell’immaginario collettivo, da una parte le politiche dell’accoglienza come business cooperativo, dove i migranti vivono prevalentemente in un eterno limbo di passività e frustrazione, dall’altra quelle del contenimento e non di rado della repressione nei centri di detenzione temporanea. Qualcuno ha detto che “i migranti sono la medicina di un’Europa malata”, e non solo demograficamente: una visione certamente utopica se si considerano le profonde contraddizioni e conflittualità intorno alla questione dell’accoglienza. Infatti, salvare da una morte sicura per mare, e accogliere uomini e donne in fuga da altre latitudini non significa, sempre e comunque, conferire loro dignità e civile convivenza. Molti elementi subentrano a contraddire tali propositi mossi sia da senso civico che da spirito cristiano. Laici e cattolici si ritrovano ancora una volta uniti nell’applicazione di politiche virtuose che si scontrano con le negligenze e le burocrazie statali, con l’ottusità delle destre che fondano le loro stesse politiche sulla paura del diverso, a loro dire incline per antonomasia a delinquere, ma anche con il cattivo funzionamento delle istituzioni tendenti a criminalizzare il migrante clandestino senza che lo Stato faccia nulla proprio per liberarlo da tale condizione, permettendogli legalmente di diventare un migrante regolare! Politiche che di fatto impediscono l’integrazione virtuosa preferendo quella promiscua della ghettizzazione in spazi un tempo del proletariato urbano e delle prime immigrazioni, quartieri destinati a raccogliere gli indesiderati, i paria, che non saranno mai  i nuovi proletari, parenti stretti dei migranti sfruttati dal caporalato delle zone extraurbane rurali del sud italiano.

Spesso si è soliti nascondere l’intolleranza per il diverso dietro l’emergenza della sicurezza (è il migrante che delinque non quello che lavora onestamente, il nemico, a costituire il vero problema!). Ciò è vero in parte. In realtà la religione islamica e la pelle scura (Medio Oriente e Africa, due latitudini, così vicine eppure così lontane), sono i veri detonatori dell’intolleranza e del razzismo. Si provi a dare uno sguardo alla quasi totalità dei commenti a seguito del documentario White Power, 2024, di Christophe Cotteret, distribuito da Artè e diffuso integralmente sul canale Youtube, un film di taglio giornalistico che denuncia l’ascesa dell’estrema desta in Europa, prendendo come esempi la Francia, il Belgio, Germania, Austria ma anche Stati Uniti d’America,  per comprendere con estrema evidenza la deriva reazionaria, diventata ormai fenomeno di massa, presente nel nostro paese che si compone di ignoranza, ipocrisia, e negazionismo, conditi da grumi di anticomunismo isterico, chiaro retaggio della propaganda del ventennio berlusconiano. Ciò che fino agli anni ‘2000 poteva sembrare un fenomeno assai minoritario tale da non destare particolare preoccupazione nemmeno tra la compagine di sinistra moderata, oggi, al contrario, desta seria preoccupazione, nel mentre il risorgere della destra estrema, diventa, non solo forza di governo ma, come si legge anche nell’esempio appena descritto, parte integrante del pensiero comune. Se sull’opposto versante s’impone il globalismo neo-liberale e finto progressista, tendente invece a sfruttare il fenomeno dell’immigrazione come forza-lavoro a basso costo (i cosiddetti “proletari d’importazione”, secondo la definizione del filosofo sloveno Slavoj Zizek, presente in un saggio del 2014) (1), i migranti si troverebbero, invece, in una zona di confine, dentro una polarizzazione schizofrenica che oggi ha come possibile vertice, la guerra totale, alla quale è necessario e urgente opporre politicamente una terza via.

Esistono, infine, muri reali e muri mentali contro la diversità, quelli che ci separano dal migrante della porta accanto, una tipologia quasi mimetizzata nell’esercizio della normalità quotidiana, sospeso tra desiderio d’integrazione, che significa anche imitare modelli altrui (virtù e difetti senza distinzione) e conservazione della propria diversità, che resiste grazie alla fede religiosa, vero antidoto allo scollamento con il paese d’origine. Ed è proprio in questa zona grigia dell’esistente che si perpetua l’intolleranza più invisibile e inavvertita: Il migrante proveniente dal Maghreb o dai Balcani o perfino dall’Africa sub-sahariana che in poco tempo ottiene il medesimo status di un cittadino autoctono (casa, lavoro, automobile, scuola per i figli etc.), suscita nel cittadino italiano un sentimento di rancore inconscio, inconfessato, laddove si abbia la percezione di una pretesa ingiustizia (come è possibile che uno straniero arrivato da poco abbia tutto ciò che ho io che vivo qui da sempre?!), che provvederà a nascondere, con il consenso della maggioranza dietro la più comune delle argomentazioni discriminanti, quella della diversità, appunto, e quindi, della sicurezza: chi si nasconde, infatti, dietro al migrante più insospettabile? Un terrorista, un ladro, un violentatore di fanciulle o niente di tutto questo. La paura mangia l’anima e lentamente, giorno per giorno, fabbrica mostri. In qualche caso ci fu perfino della psicosi collettiva, come a Genova nel 1999 e in tempi recentissimi in Germania: la caccia al l’immigrato è sempre aperta!…

Un invito alla ragione, se è possibile, oppure dovremmo, forse, più parlare del razzista della porta accanto?……

 

Note

  1. Slavoj Zizek, La nuova lotta di classe Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini, Ponte alle Grazie, Milano 2014

 

*immagine generata con IA

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Il migrante della porta accanto

  1. Ringrazio per questo splendido articolo di analisi di questa attualissima tematica.
    Vorrei aggiungere che deve essere resa anche una attenzione di genere, se si vuole osservare il fenomeno a tutto campo. In questo momento le donne immigrate portano una condizione loro. Inoltre, ho potuto valutare da vicino come la scuola sospinga “l’integrazione virtuosa” ed è necessario che essa sia diffusa e sostenuta.
    Aggiungo, inoltre, che la contrapposizione fra destra e sinistra riguarda solo la propaganda, e rischia di essere riduttiva. La legge sull’immigrazione è uguale per l’Italia intera, e la vita degli immigrati, nel suo svolgersi, è condizionata dunque soprattutto dalle decisioni politiche degli enti locali. Personalmente, io vivo in una città governata dal 2017 da un governo di sinistra, che ha fatto di recente una delle scelte più inique che si possano immaginare contro i migranti, specialmente contro le donne, scelte che certamente vanno contro “l’integrazione virtuosa”. Grazie.

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