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Marco Polo: elogio della conoscenza senza confini

di Maurizio Fantoni Minnella

 

A Francesco Surdich (1944-2024),

amico e grande studioso di viaggi e di esplorazioni

 

 

I settecento anni che ci separano dalla morte di Marco Polo (1324-2024) sono l’occasione per una serie di considerazioni sul significato del viaggio. Durante la prigionia nelle carceri genovesi, all’indomani della sconfitta navale dei veneziani a Curzola (1298), allorchè lo scrivano Rustichello da Pisa, al quale, come è noto, Marco Polo dettò il racconto delle proprie imprese in Medio Oriente e alla corte mongola del Gran Khan, viene sottoposto all’interrogatorio degli inquisitori sulla veridicità dei suoi racconti, si ha una prima definizione di viaggio come apertura dei propri orizzonti geografici, culturali e dunque, mentali. Al tempo stesso, però, se ne conosce il pericolo alimentato dalla chiesa cristiana, quello della scoperta di nuovi mondi ritenuti barbarici proprio perché al di fuori dei confini del dominio della Chiesa. Si chiarisce già nel tardo medioevo la paura dell’altro, alimentata dai teologi padri della Chiesa, i primi, forse, a prestar fede ai racconti, alle visioni mostruose e ai rituali pagani riportati dai marinai al ritorno da lunghi viaggi in Oriente. Eppure il giovane mercante veneziano è in viaggio con il padre Niccolò e lo zio Matteo, iniziato nel 1271 e conclusosi nel 1295, per portare a Kublai Khan imperatore del Mongoli, un segnale di pace su mandato del nuovo papa Gregorio X, già legato pontificio nella città santa di Gerusalemme, e al tempo stesso per aprire una via commerciale tra Venezia e la Cina, l’Europa e l’Oriente, lungo la cosiddetta “Via della Seta”, già esistente dal II° secolo a.C., allorchè l’ambasciatore cinese Zhang Qian fu inviato dall’imperatore in missione diplomatica nei paesi dell’Asia Centrale (come accadde al padre e allo zio di Marco Polo molti secoli dopo) dove trovò favolose ricchezze e al suo ritorno, per volontà dell’imperatore, si avviò una scambio mercantile tra la seta prodotta in Cina e gli oggetti preziosi appena scoperti. Da qui derivò il nome di Via della Seta. Lo stesso Khan, fu acutamente evocato dallo scrittore Italo Calvino nel romanzo Le città invisibili, 1972, in un dialogo con Marco Polo sul senso del viaggio:…E tu? – chiese a Polo il gran Khan – torni da paesi altrettanto lontani e tutto ciò che sai dirmi sono i pensieri a chi prende il fresco la sera seduto sulla soglia di casa. A che ti serve, allora, tanto viaggiare?. E’ sera, siamo seduti sulla scalinata del tuo palazzo, spira un po’ di vento – rispose Marco Polo – qualsiasi paese le mie parole evochino intorno a te, lo vedrai da un osservatorio situato come il tuo, anche se al posto della reggia c’è un villaggio di palafitte e se la brezza porta l’odore di un estuario fangoso. Il sovrano asiatico si rivelò altresì curioso e tollerante rispetto alle altre religioni (confuciana, cristiana e islamica), quando il buddismo non era ancora diventato una religione di stato. Su questo sfondo storico-culturale la figura di Marco rappresentò esemplarmente quella sete di conoscenza, di superamento dei propri confini nazionali e insieme di ribellione verso coloro che minacciavano la pace, che non è difficile ritrovare nel XX° secolo, tra i giovani negli anni sessanta e settanta con la loro inquietudine che celava il desiderio di conoscenza e di fuga. A volte era più forte il primo, più spesso, invece, il secondo.

La vicenda umana di Marco Polo e dei suoi compagni di viaggio prefigura il moderno rapporto tra figli e padri, nella società capitalistica avanzata, laddove ai secondi è destinato il compito di generale profitto, mentre ai primi, quello di immaginarsi una rivoluzione o più concretamente, di fantasticare sulle carte geografiche e finalmente di mettersi in marcia verso l’ignoto, mutando per breve o lungo tempo la propria quotidianità, e infine, provando l’ebbrezza del vagabondaggio. La loro idea di viaggio, infatti, è in realtà assai più simile a quella del giovane mercante veneziano di quanto non si creda, animato più che altro dal sacro fuoco della conoscenza da cui proviene la comprensione dell’altro, di colui che è nato e vissuto sotto altri cieli e in altre latitudini. L’Europa e il mondo hanno imparato dalle sue avventure ed esperienze, concretizzate con vivido realismo arricchito da slanci di fantasia, dal Libro per eccellenza dei viaggi, il Milione o il Libro delle Meraviglie (1), che ebbe un’influenza decisiva sia nella letteratura dei secoli successivi, che nella formazione della mente del viaggiatore. In esso vi sono già tutti gli elementi che faranno del resoconto di viaggio un fortunato genere letterario. Se la Scoperta del continente americano da parte di Colombo, generò una specifica letteratura legata alla conquista o alla difesa delle popolazioni indigene, mentre i secoli successivi, specialmente il XVIII° a il XIX° secolo segnarono  con il Grand Tour, il cosiddetto “Viaggio in Italia”, la conoscenza delle rovine del passato, della Magna Grecia e di Roma antica, laddove, per la prima volta la penisola italica accoglieva il giudizio critico del viaggiatore straniero e su di esso formò il proprio mito, fu piuttosto il XX° secolo che raccolse la sfida nell’esplorazione di quella vastissima area geografica che incantò Marco Polo, ossia l’Oriente nella sua più ampia declinazione. All’inizio era il viaggiatore per professione o per vocazione che si trasformava in scrittore di cronache dei propri viaggi, ma dal XVII° secolo nasce la figura dell’intellettuale, del filosofo e dello scrittore che diventa viaggiatore (gli autori del Grand Tour ne sono l’esempio più evidente, alla scoperta, prima delle rovine della storia e successivamente di mondi lontani).

Viaggiare con lentezza, quindi, superando i confini anzichè esaltarli come coloro che collezionano nomi di nazioni allo scopo di arricchire il loro personale carnet, soffermandosi nei luoghi più appartati e strani, evitando le cospirazioni del turismo di massa. Entrare in contatto con altre culture, altre voci e stringere legami con persone dapprima sconosciute. Vi è perfino un elemento ideologico direttamente collegato al viaggio come esplicita volontà di solidarizzare con un popolo sfruttato e con la sua rivoluzione, come è accaduto a tanti giovani con la Cuba della rivoluzione castrista, il Nicaragua sandinista, il Cile di Allende, l’Africa stessa nella sua immensa bellezza e povertà, ma anche con i luoghi in cui la spiritualità pareva essere la sola fuga da un Occidente che ha fatto del puro materialismo il suo unico fine. In altre parole, ciò che oggi rende attuale il messaggio di Marco Polo è proprio la necessità di sentirsi parte di una comunità umana estesa al mondo intero, in cui le culture dei singoli popoli siano lo specchio multiforme della nostra e non piccole e grandi sovranità nazionali e identitarie, chiuse dietro confini o peggio muri o fili spinati. E’ questo il paradosso della globalizzazione: cancellare i confini economici delle merci e rafforzare quelli per la circolazione degli esseri umani.

L’esperienza di Polo ci mette ancora una volta in guardia rispetto alle sirene del turismo globale e al tempo stesso dall’annichilimento dello sguardo e della visione dei luoghi che non devono più essere scoperti, ma che potrebbero essere riscoperti solamente se lo sguardo su di essi avrà la forza di non piegarsi agli stereotipi dominanti, tra tutti, quello che vorrebbe separare la bellezza monumentale dal proprio contesto umano e sociale, isolandola come una merce d’eccellenza.

Un ulteriore elemento che ci riporta alla contemporaneità è rappresentato dall’esperienza pluridecennale di Angelo (1937-2022) e Alfredo Castiglioni (1937-2016), documentaristi – viaggiatori- esploratori e finanche archeologi nel continente africano, sulle orme del regista francese Jean Rouch (1917-2004), fondatore del cosiddetto cinema veritè. Padre e zio di Marco Castiglioni, (si noti pure la coincidenza del nome), il quale, pur non avendoli mai seguiti nelle loro multiformi imprese tra i villaggi più remoti, ne rievoca oralmente, ogni giorno, le avventure e le scoperte negli spazi del piccolo museo a loro dedicato (2). Le loro avventure nel cuore dell’Africa Nera si conclusero quando la modernità giunse anche tra le popolazioni dei villaggi più remoti della Savana e dei grandi fiumi. Fu allora che i due fratelli gemelli di origine milanese si misero in cerca di antiche città sepolte come Berenice Pancrisia (da loro scoperta nel 1989) nel deserto nubiano. La vita e la morte s’incrociano scambiandosi i ruoli. Ciò che un tempo era morto, ora è vivo, visibile all’occhio del visitatore, ciò che invece era tradizione e unicità, oggi si confonde nell’anonimia della sopravvivenza nei grandi centri urbani.  E’ qui, forse, come altrove, nelle latitudini meno esposte all’omologazione dei ritmi, delle consuetudini e delle economie che si cela la vera anima del viaggio.

 

 

Note

  1. Esso ispirò nel nome una delle più approfondite e fortunate enciclopedie geografiche italiane, Il Milione, appunto, edito dall’Istituto Geografico De Agostini negli anni sessanta, oggi purtroppo ritenuta fuori moda, sostituita dall’informazione digitale, ma, in fondo, mai superata. Durante la seconda metà del XX° secolo più di un viaggiatore ha ripercorso la via tracciata da Marco Polo confrontando le descrizioni presenti nell’antico testo con le trasformazioni del tempo presento. Ne è un significativo esempio, tra gli altri, Il Milione da Gerusalemme a Xanadu sulle orme di Marco Polo, 1999 di William Dalrymple. Perfino il navigatore italiano Ambrogio Fogar descrisse in un volume del 1983 il “suo” viaggio sulle tracce di Marco Polo. Assai noto, diffusa in ben 48 paesi il Marco Polo di Giuliano Montaldo, 1982, che sebbene sia nato come sceneggiato televisivo in otto puntate, tratto dalla biografia omonima di Maria Bellonci, presenta indubbie qualità cinematografiche.
  2. Si tratta del Civico Museo Castiglioni di Varese, situato all’interno del parco storico di Villa Toeplitz. Tra il 2022 e il 2024 è stata allestita nella loro città una grande mostra in memoria dei due fratelli Castiglioni dal titolo “Incontri di mondi lontani”.
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