We call it Flamenco – recensione teatrale

-di RITA BORELLI-

 

Il flamenco, con radici profonde nelle tradizioni gitane, arabe ed ebraiche, è una forma d’arte che nasce come un grido di libertà, potente e viscerale, capace di veicolare emozioni universali: dolore, amore, gioia e rabbia. Ma quanto di questo straordinario bagaglio espressivo emerge in We call it flamenco? Saranno riusciti quei sentimenti primordiali a farsi strada in una coreografia potente e coinvolgente, dove ogni movimento, ogni battito del piede – il celebre zapateado – e ogni colpo di mano evochi un richiamo ancestrale alla terra e alla vita?

Purtroppo, We call it flamenco non è riuscito a soddisfare appieno queste attese. Lo spettacolo si proponeva come un viaggio nell’anima del flamenco, ma è rimasto sulla soglia, senza trascinare gli spettatori nelle profondità dell’animo spagnolo. Suddiviso in quattro quadri, lo spettacolo ha cercato di esplorare la tradizione flamenca attraverso danza, musica e atmosfera, ma l’interpretazione di sei dei cinquanta palos – i vari stili del flamenco – affidata a una sola coppia di danzatori, ha finito per smorzarne l’impatto emotivo.

L’allestimento scenico, seppure essenziale, ha saputo creare un’atmosfera suggestiva: il palcoscenico, adornato da rose rosse, offriva un colpo d’occhio elegante e simbolicamente evocativo. I giochi di luce e ombra, pensati per esaltare i corpi dei ballerini, sono stati un elemento di pregio, amplificando i movimenti e suggerendo il legame profondo tra il visibile e il simbolico.

Tuttavia, malgrado la padronanza tecnica dei due interpreti, la loro esibizione è apparsa incapace di catturare completamente l’attenzione del pubblico. Il duende – quella forza arcana e insondabile che rende il flamenco una forma d’arte inimitabile – è emerso solo a sprazzi, mancando di quell’intensità dirompente che ci si aspetterebbe da una performance di simile ambizione. In diversi momenti, l’esecuzione ha rivelato una certa rigidità, privata di quella naturale fluidità e grazia che dovrebbero veicolare l’essenza stessa del flamenco, con la sua potenza e sensualità ancestrali. Sebbene nessuno si attendesse la magia di un Joaquin Cortés, sarebbe stato legittimo aspirare a un livello di espressività e classe superiori. Gli interpreti, invece, sono riusciti solo parzialmente a trasmettere l’anima dei vari palos, ciascuno dei quali racconta una storia distinta: dalle ritmate e gioiose bulerías alle melanconiche soleá (solitudine), passando per la drammaticità della seguiriya (canto tragico) e la vivacità delle alegrías (allegro, festoso). Ne è risultato un percorso emotivo limitato, incapace di suscitare quelle vibrazioni profonde che il flamenco, quando autentico, è in grado di evocare.

Anche i costumi, sebbene ispirati ai motivi tradizionali con i colori vivaci ed i caratteristici pois, sono apparsi poco curati, privi di quel tocco autentico che avrebbe potuto rafforzare l’impatto visivo dell’intera rappresentazione.

La musica, elemento imprescindibile del flamenco, è stata il filo conduttore tra i danzatori e il pubblico. La voce solista – l’unico elemento spagnolo del gruppo – ha accompagnato l’esibizione con intensità, mentre il chitarrista, nonostante un avvio esitante, ha saputo regalare momenti di buona qualità, creando un dialogo armonioso tra musica e danza e contribuendo, anche se solo a tratti, a trasmettere quella passione e quell’energia che caratterizzano questa straordinaria arte.

In conclusione, We call it flamenco si è rivelato una performance che, purtroppo, non ha convinto appieno. Quella che avrebbe dovuto e potuto essere un’immersione profonda nella cultura e nell’essenza del flamenco, si è rivelata un’occasione mancata. Il flamenco, con il suo potere di parlare direttamente al cuore e all’anima, in questa occasione non è riuscito a far rivivere il suo grande potenziale.

 

TEATRO GHIONE

We call it Flamenco

FEVER ORIGINAL
13-10-2024

Durata: 60 minuti – Numero atti: 1

Creato, diretto e coreografato da María Farelo e Cristian Pérez di Luma Artistas S.L.

Ballerini professionisti di flamenco: La Sesi e Claudio Javarone
Marco Perona – chitarrista
José Salguero – cantante

 

 

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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