di Edoardo Crisafulli –
Mai come oggi ci interroga e ammonisce l’Amleto scespiriano: “i tempi sono scardinati”, ovvero: sgangherati, sfasati. Musk, potente consigliere di Trump e magnate milionario, entra a gamba tesa nel nostro dibattito pubblico: l’Italia, a suo dire, sarebbe governata da “un’autocrazia di giudici non eletti”, che devono “andarsene” per lasciare campo libero al Governo in carica. Il riferimento è al Tribunale di Roma che ha rimesso alla Corte di Giustizia europea il caso dei migranti trattenuti in Albania. Noi socialisti da sempre critichiamo le sbavature politiche e il protagonismo di certi magistrati. Sì che pagammo un prezzo salatissimo all’epoca di Mani Pulite, un golpe mediatico-giudiziario che legittimava l’uso politico delle inchieste! Mai, però, abbiamo sostenuto una riforma illiberale della giustizia che prevedesse l’elezione dei giudici o, peggio ancora, la loro sottomissione ai diktat del Governo in carica. Pretendiamo solo il rispetto della Costituzione: terzietà e indipendenza della Magistratura.
Io ho seri dubbi sul capo d’accusa che grava sul capo di Matteo Salvini: che il trattenimento di una nave con migranti a bordo in un porto italiano sia configurabile come un sequestro di persona, mi pare una “sovra interpretazione” o “lettura aberrante” delle leggi vigenti, come direbbe Umberto Eco, cioè una stiracchiatura illegittima del concetto di sequestro. Quando sento parlare di questo orrendo reato la mia mente corre subito al rapimento di industriali, trattati come bestie dai loro sequestratori, e liberati solo a seguito del pagamento di un riscatto. Detto ciò, la questione è interamente italiana. Bene ha fatto quindi Sergio Mattarella a mettere in riga Musk: “l’Italia sa badare a sé stessa nel rispetto della sua Costituzione…Chiunque, particolarmente se in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettarne la sovranità e non può attribuirsi il compito di impartirle lezioni.” Parole sacrosante! Il nostro Presidente Mattarella svolge con saggezza ed equilibrio il ruolo di garante della Costituzione italiana.
Come hanno reagito i sovranisti di casa nostra all’indebita ingerenza nei nostri affari? Anziché dimostrare il loro tanto strombazzato amor di patria, hanno nicchiato, taciuto o, addirittura, elogiato Musk. All’opposizione, giustamente insorta, i sovranisti – nostrani, ‘alle vongole’ – hanno risposto in maniera puerile, riecheggiando l’autodifesa del magnate statunitense. ‘Eh che diamine, sia il Primo emendamento americano che la Costituzione italiana tutelano la libertà di espressione’. Lo capisce anche un bambino che qui non è in gioco la libertà di parola: a) il plurimilionario Musk non è un esponente politico della Repubblica di San Marino, ed è onnipresente nell’infosfera, dal ciberspazio ai mass media classici, dipingerlo come la vittima di una censura fa ridere i polli. Semmai abbiamo il problema opposto: come contenere la potenza manipolatrice di soggetti debordanti del genere. b) L’affermazione di Tusk sull’autocrazia giudiziaria è falsa e bugiarda: il nostro sistema si regge sull’equilibrio dei tre poteri al pari di quello americano. L’Italia è una liberal-democrazia matura con anticorpi formidabili. Ovvio, eppure…
La logica non ha più trazione o mordente. L’elettore di destra – che assomiglia al militante invasato marx-leninista – ti risponderà a muso duro: “e Richard Gere che difendeva gli scafisti, allora?” Il fatto che Richard Gere sia un attore non conta nulla. Oggigiorno la difesa del tuo amato leader degenera in un attacco a chi osa insidiarne il primato, l’intoccabilità, l’aura sacra. E la coerenza va a farsi benedire: coloro che oggi danno ragione al Musk quando sbeffeggia la sovranità italiana ieri criticavano duramente i militanti laburisti britannici – N.B.: persone qualunque, non miliardari potenti –, i quali erano andati in America per sostenere Kamala Harris.
La verità non esiste più, ma ho sempre ragione io. Addio spirito critico, insomma. Assistiamo a campagne elettorali permanenti simili a partite di calcio prive di regole e di arbitri che le facciano valere. Ogni dibattito serio e ben argomentato è bandito sia dall’infosfera sia dalle discussioni fra amici. La forza, i voti, il consenso, il carisma sono dalla parte mia. Dunque ho la verità in tasca.
La partigianeria è tossica, e infatti il dialogo fra opposte tifoserie è impossibile. La contrapposizione fra partiti e movimenti politici, in Occidente, è totale. Domina l’incomunicabilità: tutti blaterano al proprio ombelico. Ogni fazioso è asserragliato nel suo carapace e, se mette la testa fuori, è solo per mordere. Negli USA i militanti repubblicani e democratici non riescono neppure più a sedersi allo stesso tavolo in un ristorante. Nubi tossiche cariche d’odio ci ammorbano, ma in pochi cercano di sanificare l’aria che respiriamo.
La politica si autoalimenta in una spirale di frustrazione, rancori, personalismi. È, questa, la faziosità viscerale degli indifferenti, senza ideali, o di coloro che, disperati, hanno smarrito ogni fede e ancoraggio nel turbinio della vita postmoderna. Tutt’altra cosa dalla visione di Gramsci, che concepiva la lotta politica come passione, etica, spirito civico: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”
Cosa ci dice il contesto sgangherato che propizia questa politica urlata e intrisa di veleno? Lo scontro fra partiti contrapposti è concreto e durissimo nell’agone politico, ma fumoso e caotico a livello di pensiero. Siamo sballottati nello spazio dell’infosfera, senza la forza di gravità rappresentata da testi di riferimento come il Manifesto del Partito comunista di Karl Marx o Socialismo liberale di Rosselli o i saggi straordinari di Luigi Einaudi. L’unico collante delle ‘intelligenze critiche’ è l’avversione per le ‘élite globaliste’ e, si sottintende, per la società aperta e liberal-democratica: il male si anniderebbe in un Occidente percepito come decadente, putrefatto eppure aggressivo e imperialista. Troppi diritti, troppi immigrati, troppi omosessuali a viso aperto, troppi lacci e lacciuoli per chi governa, troppo Occidente imperialista. A destra spara a zero Marcello Veneziani, a sinistra i pallettoni li sparano studiosi di vaglia come Carlo Rovelli e Franco Cardini – sì, Cardini proviene dalla destra, ma che importa: le commistioni (o, meglio: i pastrocchi) vanno di moda!
L’ideologia dei nostri tempi è un coacervo di idee mal assortite e altrettanto mal appiccicate. I nemici dell’inesistente ‘teoria del gender’ sono succubi del nichilismo marxisteggiante, condito con un po’ di prezzemolo postmoderno, che va per la maggiore. Si dicono cristiani, costoro, ma minano le basi intellettuali del cristianesimo – snobbano il libero arbitrio e la verità fattuale. In sintesi: è in auge un sincretismo di bassa lega: pezzetti di neo-marxismo rivisitati in chiave paranoica (l’ossessione per il vile denaro che governerebbe il mondo) galleggiano in un minestrone assieme alla difesa di autocrati nazionalisti come Putin, al disprezzo per i diritti civili LGBT, al rifiuto delle società multiculturali e all’ostilità per i Liberal americani – l’antiamericanismo è a corrente alternata: Kamala Harris è out, Musk è in. La critica al capitalismo speculativo, che è nato a sinistra, s’innesta in una visione reazionaria: tutto ciò che puzza di progressivo, dall’apertura globale dei mercati al superamento dei confini culturali angusti delle piccole Patrie, è demoniaco.
Il leader ideale, oggi, è carismatico solo se esibisce una postura autoritaria, se è cinico e sprezzante verso gli avversari, se promette di scardinare purchessia l’assetto globale – l’importante è far casino, rimestare nel torbido, fomentare emozioni forti, l’odio soprattutto. Se il leader idolatrato è anche bugiardo e promette la luna nel pozzo chissenefrega, tanto la verità non esiste. E il leader dell’altra parte è comunque di gran lunga peggiore del mio. Nessun politico rappresenta gli interessi di una certa classe sociale, né incarna una visione coerente di società alternativa. Quando si parla di interessi reali, domina il sovranismo, l’autarchia, il ritorno ai sacri confini, come se il rinchiudersi nell’egoismo nazionale, nel protezionismo potesse apportare benefici a chi sta alla base della piramide sociale. Cosa prevale, alla fin della fiera? La critica feroce nei confronti della cosiddetta ‘sinistra ZTL’ o radical-chic, favorevole all’immigrazione di massa clandestina. Ecco il bue che dà del cornuto all’asino: la destra trionfante o è al governo – e certo non conduce una vita francescana – oppure è guidata da miliardari come Musk, i quali abitano lontano dai quartieri popolari infestati dagli immigrati.
Non a caso furoreggia il ‘rossobrunismo’. Si pensi all’alleanza fra i postfascisti di Alemanno e i neocomunisti di Rizzo. Per il momento questa è una minoranza, in futuro chissà. Una figura rappresentativa di questo filone è Diego Fusaro, un neomarxista di destra. Le figure retoriche più popolari oggigiorno? L’iperbole (la sinistra democratica vorrebbe la terza guerra mondiale e la sostituzione etnica dei bianchi a favore di arabi, africani e islamici; la destra agognerebbe una riedizione del fascismo ecc.) e, appunto, l’ossimoro (il marxismo conservatore ecc.). Anti-globalista e avverso al fronte Liberal/progressista, Fusaro promuove un marxismo manipolato, a uso e consumo dei suoi fan, come se fosse un brand commerciale. Ha il suo target: i poveri illusi e i delusi dalla politica inconcludente, i clienti migliori per il suo prodotto. Quali sono le aspirazioni di questo tribuno televisivo e social-mediatico? Il successo materiale e la fama fine a sé stessa. Fusaro è funzionale al sistema che critica dalla sua comoda cattedra, e di cui beneficia lautamente. Altroché impegno politico, a testa bassa, in nome di un ideale all’interno di partito o di un sindacato! L’ha capito bene, lui, che la zuffa televisiva e sui social media sostituisce la lotta reale nella società civile.
La faziosità esasperata è nemica del riformismo in senso lato, avvelena la politica pragmatica, che si fonda sul compromesso e sulla razionalità di ciò che è umanamente possibile. La destra populista – ben diversa dalla destra liberale, che merita il nostro rispetto – mira a tre obiettivi: a) erodere le basi della società liberal-democratica e aperta, perché qui nessuno può esercitare un potere assoluto; b) scindere i diritti economico-sociali dai diritti civili, in modo da accreditare la bufala per cui solo la destra sociale tutela i deboli; c) separare la causa dei lavoratori italiani da quella degli stranieri, intrusi da espellere o ghettizzare. Ma nessuna società armonica e pacifica può reggersi sulla schizofrenia fra giustizia e libertà. Né può prosperare soffiando sulla xenofobia che alza steccati fra ‘noi’ e gli ‘altri’ – i ‘diversi’, i ‘non integrabili’. La via maestra è una sola, e passa dalla riscoperta delle culture politiche tradizionali; basta adattarle con intelligenza al tempo presente. La teoria liberale e il riformismo socialista sono ancora vitali. Vogliamo rivitalizzare le idee politiche più nobili del Novecento? Studiamo la storia contemporanea, che abbonda di esempi per sbugiardare i populisti, neri o rossi! Si pensi alla posizione illuminata di Turati e dei riformisti del PSI: pacifisti allo scoppio della Prima guerra mondiale e patrioti combattenti, quando si trattò di difendere la patria invasa dagli austriaci dopo Caporetto. Se conoscessero la storia, molti pacifisti non avrebbero dubbi sul sostegno militare all’Ucraina.
Ecco le parole d’ordine contro la partigianeria tossica dei sovranisti, cui fa eco la faziosità degli antifascisti paranoici: dialogo, dibattito, fatti, cultura e storia, logica, coerenza. I riformisti, poi, devono sventolare con orgoglio la bandiera dell’internazionalismo: guai a scimmiottare il sovranismo! Nessuna nazione potrà arrestare la libera circolazione delle idee e delle persone. Si tratta, allora, di governare con equità quella che Gramsci chiamava “l’unità mondo” – giustizia sociale e libertà politiche/civili per tutti, e ovunque. Attrezziamoci: la lotta sarà lunga e dura.
